Home » Ciao Eddie, il garage ora è chiuso per davvero

Un omaggio a Eddie Jordan: si è spento uno degli ultimi simboli della Formula 1 romantica.

Quando una canzonatura diventa motivo d’orgoglio. Enzo Ferrari non le mandava a dire quando doveva ironizzare su qualcuno.

Il problema – con tutto il sacrosanto rispetto per il Drake – è che spesso e volentieri le “vittime” delle sue punzecchiature reagivano a modo loro: diventando suoi concorrenti.

E così Ferruccio Lamborghini affiancò ai suoi trattori il settore delle auto di lusso ancora oggi principale competitore di Maranello in quell’ambito.

Per quanto riguarda la Formula 1, Ferrari apostrofò “garagisti” ) le scuderie inglesi che assemblavano solo il telaio rivolgendosi ad altri per il motore (solitamente il mitico Ford-Cosworth).

Non erano quindi “costruttori” nella quintessenza del termine, secondo lui. Peccato (per la Ferrari) che il principale “garagista”, Sir Frank Williams, ha portato la sua scuderia a vincere diversi titoli mondiali piloti e costruttori.

E tanti hanno seguito il suo esempio. L’ultimo della serie è purtroppo scomparso ieri all’età di 76 anni per un tumore alla prostata: Eddie Jordan.

L’irlandese è stato davvero l’ultimo esponente di quella F1 romantica dove non bisognava disporre di grandi budget e – soprattutto – non c’era bisogno dell’unanimità delle altre scuderie per scendere in pista.

Certo, di salti mortali Jordan ne ha fatti per trovare sponsor che garantissero alla sua scuderia linfa vitale per preparare vetture competitive. E nei suoi 14 anni di attività dal 1991 al 2005 ha comunque tracciato un solco per tre aspetti.

Talent scout senza ombra di dubbio. Poichè fu Jordan a far esordire Micheal Schumacher in F1 nello storico GP Belgio 1991 al posto di Bertrand Gachot in quel momento fermo per motivi extrasportivi, diciamo così.

Il tedesco dimostrò subito – più in qualifica che in gara – il suo potenziale tanto è vero che Briatore se lo portò subito in Benetton.

Ma tra gli esordienti in Jordan spiccano Rubens Barrichello, Eddie Irvine e Giancarlo Fisichella, ultimo pilota a vincere un GP con Jordan, Brasile 2003.

Poi le livree. Bellissime, fiammanti, iconiche. Dalla verde del 1991 al giallo acceso con serpenti e vespe sul musetto. Riuscivi a distinguere una Jordan a chilometri di distanza, sinonimo di bellezza indiscutibile.

Sempre con il sorriso: sia da proprietario della sua scuderia, sia da reporter

Infine, la sua guasconeria. Impossibile averlo in antipatia vista la sua capacità di sdrammatizzare in ogni occasione rendendo meno pesante l’atmosfera del paddock.

Una dote accresciuta negli ultimi anni, quando Jordan è rimasto nell’ambiente della F1 come intervistatore a fine gara. Interviste sempre divertenti e mai banali.

Come dimenticare, ad esempio, il siparietto con Nico Rosberg a Monza 2016, con Eddie che insisteva a parlare in inglese e Nico che disse “speaking Italian! Parliamo italiano” e fece scattare l’iconico coro a noi caro (cacofonia voluta) per i Mondiali di calcio del 2006.

Il suo rimpianto? Nurburgring 1999, la sua Jordan in testa con Heinz-Harald Frentzen che potrebbe bissare il successo di Monza e concretizzare le speranze di un clamoroso successo iridato.

Cosa successe lo sappiamo tutti, visto che il “È fermo Frentzen” urlato dal telecronista RAI Gianfranco Mazzoni è divenuto un motto che ha scavallato le generazioni di appassionati di F1.

Insomma, un’icona della F1 che fu. Pressochè l’ultima di Oltremanica. Ora il garage è davvero chiuso.