Juventus tra inciampi e problemi | Thiago Motta, serve un “compromesso storico”

In un momento storico come quello attuale, dominato da reels, post sui social e contenuti digitali di vario genere, c’è un meme che forse incarna alla perfezione il 2025 dei tifosi juventini. Quello, tratto dai Simpson, nel quale uno sconsolato Bart si rivolge ad Homer dicendo “Questo è il giorno peggiore della mia vita”; il padre, mosso da spirito paterno, si inginocchia verso di lui e per consolarlo gli di dice “E’ il giorno peggiore della tua vita….finora!”, accompagnato dal grottesco sorriso che ne caratterizza il personaggio.
Il paradossale scambio di battute tra padre è figlio, a parere di chi scrive, ben si ritaglia su un avvio di 2025 davvero disastroso in casa Juventus. Perché l’eliminazione subita con il PSV Eindhoven in Champions League sembrava già il punto più basso della stagione, con gli olandesi a travolgere fisicamente ed agonisticamente i bianconeri fino a ribaltare il k.o. dell’andata; il successo di Cagliari (1-0 griffato Vlahović), di fatto si è rivelato un brodino.

In una stagione che rapidamente ha cambiato connotati, il quarto di Coppa Italia con l’Empoli per i ragazzi di Motta doveva avere la stessa valenza di un quarto di Finale di Champions League. All’Allianz, invece, va in scena l’ennesima serata grottesca di questa stagione juventina: senza grilli per la testa e con tre 2005/2006 in campo (Tosto, Bacci, Konatè) è l’Empoli a interpretare una gara maiuscola sbattendo fuori dalla Coppa Italia ai calci di rigore la Juventus, in campo con diversi titolari.

Scollegata tra i reparti, spenta, senza idee, senza personalità, fragile e apparentemente senza un’anima. Davvero difficile trovare un mix così “ben assortito” di bad vibes in una squadra di calcio. Dopo una prima occasione, malamente cestinata da Nico González, i bianconeri spariscono dal terreno di gioco al cospetto di un Empoli che si mangia le mani per il mancato 0-2 di Konate che trova il legno in chiusura di tempo. Nella ripresa gli ingressi di Yldiz e Conceição non aiutano i piemontesi ad andare oltre il pari trovato grazie a una magia di Thuram. Ai rigori, poi, gli errori di Vlahović e Yildiz condannano i bianconeri a un’inattesa e frustrante eliminazione in favore di un Empoli meritissimamente in Semifinale di Coppa Italia per la prima volta nella sua storia.

Durissime le parole di Thiago Motta nell’immediato post-partita, con il tecnico brasiliano che colpevolizza sé stesso ed i calciatori per la brutta figura rimediata sul green dell’Allianz. Sottoscrivibile al 100% a parere di chi scrive l’idea che una prestazione negativa (per usare un eufemismo) come quella con i toscani, di tecnico abbia davvero poco. Convinti che Thiago Motta metta in discussione sé stesso per primo, agli albori del nono mese del suo primo anno juventino i risultati maturati sin oggi non possono far partorire qualche spunto di riflessione.

In primis, relativamente alla gestione del gruppo. Troppe volte, per essere una squadra così blasonata, la Juventus è scesa in campo confusa, senza idee o dando l’impressione di essere mentalmente “rimasta negli spogliatoi”: con l’Empoli a Torino due volte, Benfica, Parma, per citare gli esempi più evidenti. Che sia il modo di relazionarsi con i calciatori, le numerose turnazioni (Thuram, Gatti, Yildiz per fare alcuni esempi) o un’idea di calcio ancora non del tutto digerita dagli stessi effettivi a disposizione di Motta (diverso dal definirla “non condivisa), il retropensiero che sorge inesorabilmente è che il rapporto e/o la comunicazione tra Thiago Motta e lo spogliatoio bianconero non sia esattamente “ben oliato”. E dire che, nonostante qualche pareggio di troppo, le premesse del primo scorcio di Campionato sembravano interessanti oltre che promettenti.

Il rapporto tra club, squadra e Thiago Motta

Tante le “spine” nella storia tra la rosa bianconera e Thiago Motta. Danilo, per esempio, capitano della squadra e salutato a gennaio senza troppi fronzoli da parte del tecnico, con l’ex-calciatore di Real Madrid e Manchester City che non ha mancato di salutare con qualche polemica. Spostandoci avanti di qualche decina di metri, troviamo il caso Vlahović: legittimo da parte di Motta richiedere un attaccante più consono alla sua idea di calcio, ma perché non valorizzare un investimento da oltre 80 milioni di euro da parte di una società che in estate rischia di dover svendere l’attaccante serbo per non perderlo a parametro zero l’anno prossimo? Per quanto Vlahović non abbia confermato sul campo quanto da lui stesso auto-certificato con riferimento alla vicinanza ad Haaland, il serbo rimane il miglior marcatore stagionale dei bianconeri. Non mancano, poi, calciatori spariti ad intermittenza dai radar nonostante l’apparente centralità nel progetto (Gatti, Yildiz, Thuram) che finiscono per farci spostare la lente d’ingrandimento su aspetti più tecnici.
Thiago Motta non ha infatti mai abbandonato il suo fluido 4-2-3-1 che, però, le evidenze di campo certificano non calzare a pennello alla squadra. Nello schema ideato dal tecnico brasiliano troviamo un incursore nel ruolo atipico di “trequartista”, ma Koopmeiners (per motivi tecnici, caratteriali o entrambi) non ha mai lontanamente raggiunto le vette di rendimento atalantino in quel ruolo. McKennie ha certamente dato riscontri migliori dell’olandese, impresa non impossibile, dirottando il nostro focus sul problema che con un effetto domino emerge in superficie: la mediana fa acqua da tutte le parti.

Arrivare dalle parti di Di Gregorio infatti, è davvero troppo facile per gli avversari di giornata dei bianconeri qualsiasi essi siano. Partendo dal presupposto che l’assenza di gerarchie definite non sembra aiutare la squadra, la mediana a due juventina è spesso sbilanciata in avanti o genericamente mal posizionata favorendo spesso le partenze o ripartenze avversarie. La coppia Thuram-Locatelli, forse la più collaudata, vede spesso il francese sganciarsi in proiezione offensiva senza alcun tipo di “back-up”, con il malcapitato centrocampista ex-Sassuolo spesso in inferiorità numerica e la squadra spesso troppo allungata e sbilanciata. Perché non pensare di arretrare il raggio d’azione del McKennie/Koopmeiners di turno in favore di un 4-3-3 che, forse, garantirebbe più copertura a Di Gregorio e alla terza linea bianconera? Perché, non cercare di evitare a Koopmeiners un ruolo che evidentemente l’olandese non riesce ad interpretare al meglio e, anzi, lo spinge in un vortice fatto di errori marchiani e partite insufficienti in serie? Perché non mettere in piedi un centrocampo a tre che, forse, permetterebbe di esprimersi meglio anche a un calciatore come Douglas Luiz nel ruolo di mezz’ala? A beneficiarne potrebbe essere la difesa, già strutturalmente destabilizzata dalla perdita di Bremer; devastante per personalità e qualità l’assenza del brasiliano, con Gatti e Kalulu (pur ottimo nella sua prima stagione juventina) che singolarmente non garantiscono le performance dell’ex-Torino e come coppia sembrano doppiarsi più che completarsi. L’innesto di Veiga, da questo punto di vista, sembra poter rappresentare la figurina mancante da affiancare alternativamente all’ex-Frosinone o al francese ex-Milan.

Un modulo diverso, il 4-3-3 ad esempio, libererebbe spazio e campo anche al giovane Yildiz a cui, forse con eccessiva fretta, è stata affidata una delle maglie più pesanti a livello continentale: la 10 della Juventus. Il turco ha mostrato sprazzi di classe cristallina, ma defilato sulla sinistra ha convinto a tratti dovendo coprire spesso troppo campo/avversari per poter essere decisivo negli ultimi venti metri e nelle ultime due fondamentali partite è uscito addirittura dallo Starting-XI. Da non tralasciare, anche l’aspetto fisico. Con un calendario così fitto, la Juventus ha infatti denotato inquietanti “spegnimenti” tra una partita e l’altra o talvolta anche tra un tempo e l’altro della stessa partita (vedasi le sfide recenti con Napoli, Inter e PSV Eindhoven). Premesso che il black-out potrebbe avere radici mentali e non atletiche, anche una gestione delle energie (con momenti di gara ad altissima intensità ed altri di totale assenza dei bianconeri dal campo) non molto azzeccata potrebbe aver concorso a questa grigia stagione dei torinesi. E in estate, tra l’altro, il Mondiale per Club attende i bianconeri.

Una rosa senza leader e trascinatori

Ultimo, ma non meno importante, la logica di costruzione della rosa. Oggi, infatti, la Juventus sembra mancare di trascinatori in campo, di calciatori dotati al contempo di carisma e capacità tecniche tali da guidare i bianconeri nei momenti difficili della partita. Ne consegue che, quando il gioco si fa duro, della Juventus troppo spesso si perdano le tracce. La (sportivamente) tragica sommatoria di questi elementi restituisce un responso duro e al contempo innegabile. La Juventus è una squadra che non riesce a difendere, non riesce ad attaccare, a fare filtro in mediana, ad avere continuità di prestazioni né tantomeno di risultati, ad avere personalità tale da riemergere nelle avversità dando in generale l’impressione di avvitarsi lungo una spirale che non sembra promettere la rinascita che dai torinesi ci si attendeva in questa stagione.
La ferrea volontà di Motta di proseguire accompagnato dalle proprie convinzioni certifica la grande personalità del tecnico brasiliano che, forse, in un momento così complicato dovrebbe però forse trovare spazio per qualche compromesso. Alla Juventus, come detto, gioverebbe forse switchare su un’idea di calcio più pratica e una gestione del gruppo più salutare per squadra e allenatore; in poche parole, più adatta al momento. Forse non “corto-musista”; ma la virtù, molte volte, sta nel mezzo.