Il 16 dicembre 2022 la scomparsa di Sinisa Mihajlovic, uomo di calcio apprezzato in maniera trasversale. Cosa manca di lui al calcio italiano?
Ci sono uomini di calcio capaci di restare nell’immaginario collettivo per sempre, anche dopo la loro scomparsa terrena. Sinisa Mihajlovic ci è riuscito, frutto di ciò che ha sempre seminato.
Schiettezza, parole non banali, la schiena dritta di chi ha visto la propria giovinezza dilaniata da una guerra assurda come linea guida di un’intera esistenza. Sempre pronto a colpire, Sinisa. Proprio come faceva con il suo micidiale sinistro.
Una carriera vincente, la sua. Uno dei calciatori più emblematici tra quelli che hanno rappresentato la Jugoslavia unita, capace di esplodere nella Stella Rossa e affermarsi definitivamente in Italia, Paese da cui non si sarebbe più separato.
E in cui avrebbe trovato l’amore, quello con la A maiuscola: quello della sua Arianna, splendida guerriera perennemente al suo fianco come i loro figli.
“Quando ero più giovane avevo perennemente bisogno di dividere il mondo in ‘noi’ e gli ‘altri’. Mi caricava. Alcuni storici lo definiscono ‘bisogno del nemico’. Oggi non ho bisogno di nemici“.
“Niente nemici. Ma le sfide, sì. Quelle mi esaltano sempre“.
E allora cosa lascia Sinisa Mihajlovic? Il suo accento particolare, la schiettezza, il suo essere un uomo di campo: certo. Ma si tratta di aspetti che passano in secondo piano.
Di lui si ricorderà sempre la statura umana eccelsa, temprata da una gioventù vissuta – suo malgrado – pericolosamente e dal coraggio affilato da un subdolo male che lo ha ghermito a sé ad appena 53 anni. Implacabile, come il suo sinistro poderoso e preciso.