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Delirio a Dublino. Atalanta campione senza paura

Delirio a Dublino. Senza paura. È così che l’Atalanta ha stravinto la finale di Europa League. Senza mai farsi sopraffare dalla tensione, senza mai pensare di non potercela fare. Ma con un’attenzione, un’intensità e un’applicazione tali da far crollare, nel giro di pochi minuti, tutte le certezze di Xabi Alonso e del suo “imbattibile” Bayer Leverkusen. Spesso Gasperini viene accusato di eccessiva maniacalità. Beh, a dirla tutta è stato proprio il suo essere ossessivamente esigente a portare l’Atalanta in Paradiso. Gasperini l’ha vinta tatticamente, surclassando i rivali in tutto e per tutto. Gasperini l’ha vinta in settimana, preparando la gara in maniera perfetta, pensando a tutte le mosse e contromosse plausibili. Gasperini l’ha vinta scegliendo con un atteggiamento coraggioso, votato all’attacco, ma anche grazie al pressing altissimo e iperattivo che ha inaridito ogni fonte di gioco del Bayer.

I protagonisti e i rimandi col passato

Chiaro, poi in campo ci vanno i giocatori. Lookman si è preso la scena, realizzando la tripletta dei sogni, ma tutta la squadra ha girato alla perfezione. Ogni singolo calciatore aveva un ruolo, un compito, e lo ha svolto senza mai perdere la bussola. Spesso di parla di Koopmeiners quale fantastico “tuttocampista” in grado di reggere il peso del centrocampo e di sapersi inserire in zona offensiva. Ma se l’olandese viene definito “tuttocampista”, quale termine andrebbe coniato per Ederson, capace di sdoppiarsi, triplicarsi, quadruplicarsi in tutte le zone del campo? Sono entrati Scalvini e Pasalic, eppure il copione non è cambiato perché gli attori, quel copione, lo conoscevano a memoria.

Per certi versi, anche se con le debitissime proporzioni, l’Atalanta dominatrice della finale di Europa League ha ricordato il Milan del ’94, dominatore dell’ultimo atto della Coppa dei Campioni contro il Barcellona. Trent’anni fa i rossoneri avevano impartito una dura lezione ai blaugrana, dominando dal primo all’ultimo minuto. Usando un forcing pressante e feroce sui portatori di palla e ripulendo l’azione per poi ribaltarla. Anche in quel caso la partita era stata vinta in settimana, con una preparazione maniacale. E con un’intensità in campo che aveva sorpreso i fieri e poco umili oppositori. Come detto, si tratta di epoche diverse, con giocatori diversi, con avversari diversi. Ma Gasperini ha indossato, a suo modo, la giacchetta di Capello ed è andato a conquistarsi il suo primo trofeo internazionale.

Il momento e il futuro

Adesso chissà cosa riserverà il futuro. Chissà se Gasperini rimarrà nella sua città dorata o se preferirà l’ebbrezza di un’altra esperienza. Sarebbe forse più facile lasciare che rimanere. Chiudere da vincente, rimanendo nell’immaginario collettivo il semi-dio che ha portato in alto la Dea. A sessantasei anni e con una coppa alzata al cielo, Gasperini è a un bivio importante. Non ha mai dato troppo peso al blasone, altrimenti avrebbe potuto già accettare la corte spietata di altri club negli anni precedenti. Ha sempre preferito rimanere a Bergamo, nella città che lo adottato e poi glorificato. Dovrà solo capire cosa vuole fare da grande.

Qualunque siano gli accadimenti futuri, una cosa non cambierà: il tecnico ha scritto la pagina più bella con una squadra e per una città che si meritavano più di tutti questo epilogo. L’Atalanta e Bergamo hanno sofferto, hanno sognato, hanno cullato speranze. E ora è arrivato il dolce momento di godersi lo spettacolo.