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Il fattore sportivo s’inchina alla televisione: niente partite in contemporanea in Serie A

Facciamo parte della generazione con i capelli bianchi: partite alla domenica, tutte allo stesso orario. D’inverno alle 14.30, poi alle 15.00, 15.30 con l’ora legale e alle 16.00 (anche 16.30) a primavera inoltrata.

Chiariamo subito che non siamo nostalgici dei tempi di Tutto il calcio minuto per minuto (anche se le voci di quei colleghi ci hanno fatto sognare, naturalmente). La possibilità di assistere in diretta alle partite in televisione, a colori e magari con tecnologie ancora più moderne, è chiaramente impagabile, per non parlare dei campionati stranieri, che all’epoca vivevano solo con le foto a colori del Guerin Sportivo o con i cataloghi del Subbuteo.

Sinceramente, siamo tra quelli che si augurano di vedere presto l’abolizione dei limiti territoriali, per poterci abbonare con chi vogliamo, e sperare magari che, a causa della concorrenza, qualcuno attivi l’opzione pay per wiew. 

La passione, infatti, va coniugata col tempo lasciato libero dagli impegni quotidiani: chi, come noi, non fa il giornalista a tempo pieno, e deve comunque seguire altri eventi sportivi, oltre alla Serie A, fatica persino a seguire le vicende della propria squadra del cuore. Figuriamoci quanto sia l’interesse di vedere partite di altre squadre, magari non in lotta per le prime posizioni. E sappiamo di essere in grande compagnia, soprattutto di persone che non hanno mai scritto una riga su un mezzo d’informazione.

Fermo restando che siamo consapevoli del fatto che il sistema pay per wiew sia osteggiato da molti piccoli club, perché darebbe l’idea delle proporzioni, con tutto ciò che ne conseguirebbe, il recente aumento dei prezzi ha provocato, da parte dell’utenza, una nuova levata di scudi.

Il calcio non è un bene di prima necessità, ovviamente, e se ne può fare a meno: il problema è che, ai vertici del sistema, questa cosa non è compresa fino in fondo. Il pubblico inizia infatti a disdire, o a rivolgersi alla pirateria: al di là delle promesse d’inizio stagione, l’ultima grande operazione in tal senso (che abbiamo perlomeno rintracciato in rete), risale al 2022, e riguardava una sola delle diverse organizzazioni presenti.

Gli utenti coinvolti erano 900.000: un numero di persone difficilmente sanzionabile, per ovvi motivi. Per la sola gestione della fase sanzionatoria (rintraccio tramite IP, gestione dei verbali tra spedizione, accertamento pagamenti, ricorsi e messa a ruolo) servirebbe una struttura con un centinaio di persone o più, che non è nelle disponibilità della Polizia postale.

Poi c’è il fattore tempo, che rischierebbe di mandare in prescrizione parecchie sanzioni (tutte quelle notificate oltre il novantesimo giorno dall’accertata violazione, che per giurisprudenza consolidata potrebbe decorrere dalla scoperta della stessa, e non dall’accertamento del titolare dell’indirizzo IP: insomma, un mondo), secondo, appunto, l’interpretazione consolidata di molti Giudici di Pace, competenti in materia. E gli Uffici depenalizzazione delle Prefetture provinciali sono già oberati di lavoro per tutti gli adempimenti connessi alle sanzioni relative alla circolazione stradale. Non crediamo, quindi, che sia una strada facilmente percorribile.

Certo, resta quella di colpire gli organizzatori (70 indagati all’epoca). Ma deterrenza per l’utenza non ce n’è. Quindi: o si colpiscono le organizzazioni, spegnendo i ripetitori del pezzotto, o non se ne esce. Ma le dimensioni dell’affare (che non riguarda solo il calcio, come sappiamo) sono enormi. E, per ora, sta vincendo la criminalità.

Tuttavia, anche ammettendo che, in un domani più o meno lontano, la pirateria venga resa impossibile da qualche ritrovato tecnologico (secondo noi, l’unica possibilità per porre fine a questi abusi), non c’è la sicurezza che il pubblico sia disposto a spendere qualsiasi cifra. Soprattutto se, come sta avvenendo sotto ai nostri occhi, il fattore sportivo viene messo al secondo posto rispetto alle esigenze televisive.

Lo sport, infatti, vive sui valori. La recente polemica sulla Super League lo ha dimostrato: ci può stare un campionato con le migliori d’Europa, ma l’accesso deve essere regolato attraverso il merito sportivo del momento, e non esclusivamente per il blasone storico. È già difficile accettare, per noi, che la quinta della serie A abba l’accesso diretto, mentre la squadra campione svizzera debba fare il play off (perché non il contrario?), figuriamoci la contemporaneità delle partite che contano, alle ultime giornate.

La gente non può essere presa in giro: il calcio è anche questione di testa. Si scende in campo con un atteggiamento diverso, conoscendo il risultato della rivale, sia che si lotti per lo scudetto, che per la salvezza. Tra l’altro, tra mantenimento della categoria e retrocessione, girano cifre importanti per le proprietà dei club, per i giocatori, per gli addetti ai lavori. Non è giusto scherzare con i valori. Ma non solo: è pericolosissimo. Attenzione, quindi, a giocare con queste cose: perché il giocattolo si rompe.