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Omaggio a Cesar Luís Menotti. Vincere: per un ideale

Nella giornata di ieri si sono svolti i funerali di César Luís Menotti, il commissario tecnico della nazionale argentina campione del mondo nel 1978. Era scomparso domenica a 85 anni: fa specie che anche la sua scomparsa sia arrivata in questa prima metà del 2024, che ha portato via con sé altri due selezionatori iridati: Mário Zagallo e Franz Beckenbauer.


Primo piano.

Nell’immaginario collettivo, Menotti è uno dei simboli di quel periodo storico molto particolare, che vide l’Argentina sotto i riflettori del mondo spesso non per motivi positivi. Riuscì a guadagnarsi gloria imperitura, nonostante l’apice del suo percorso sportivo e professionale fosse arrivato in circostanze molto controverse. Non provava simpatia per la dittatura dei generali, ma gli fu concesso di sedere sulla panchina dell’Albiceleste in quanto ritenuto autorevole per raggiungere la vittoria. Così infine andò: il come, è un’altra storia.

Nato il 22 ottobre 1938, fu registrato però solo il 5 novembre, perché il padre riuscì a recarsi all’anagrafe solo in quella data per motivi di lavoro. Antonio Menotti era stato un buon calciatore e pugile: proprio lui ha trasmesso al figlio la dipendenza da tabacco. Tanto che nel 2011 sarebbe stato necessario rimuovergli una massa tumorale da un polmone.

Già nazionale come attaccante in gioventù, Cesar Menotti aveva preso il timone della Selección nel 1974, all’indomani del trascurabile torneo che i sudamericani avevano disputato in Germania Ovest. Diventò un’icona per la sua figura slanciata, magra, i capelli lunghi, la sigaretta perennemente tra le dita e la parlata senza sussulti, che gli consentiva con grande calma di esprimere i suoi concetti. Inevitabilmente intrisi della passione tutta sudamericana per il gioco del calcio, seppur apparentemente in maniera poco sanguigna, mai urlata.


 

Con la Coppa del Mondo 1978.

Da uno speciale che la celebre rivista El Gráfico pubblicò per ripercorrere la storia del calcio in Argentina, nel fascicolo dedicato alla prima vittoria iridata 1978, recuperiamo le parole che El Flaco pronunciò alla squadra prima di entrare in campo per la finalissima di Buenos Aires contro l’Olanda. Un giorno che avrebbe cambiato le vite di tutti loro.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Espressioni che raccontano tanto dell’uomo non solo legato al pallone, comunque caratterizzato da sentimenti, valori e spirito patriottico. La lotta per un ideale. L’anno dopo il successo nella Coppa del Mondo casalinga, Menotti guidò i giovani argentini alla vittoria di un secondo mondiale: quello Under 20, in cui appunto brillò la stella di Maradona che non aveva portato al Mundial ’78 per proteggere un 17enne da pressioni eccessive. In occasione di Spagna ’82, invece, le cose non andarono come previsto e, dopo l’eliminazione nella seconda fase a gironi ad opera dell’Italia, il tecnico lasciò dopo 8 anni il timone per consegnarlo idealmente a Bilardo.


Alla Sampdoria nel 1997.

In seguito non avrebbe avuto grandi successi nella parabola in panchina, sia a livello di club che di Nazionale, perché per un periodo guidò anche il Messico. Parlando di trofei vinti non andò oltre una Coppa di Lega e una Supercoppa di Spagna vinte sulla panchina del Barcellona. Ebbe anche un breve passaggio nella Serie A italiana, alla Sampdoria nella stagione 1997-98: 13 partite con appena quattro vittorie caratterizzarono il suo breve soggiorno ligure.


Menotti e Maradona.

I suoi ultimi incarichi l’hanno visto prima come allenatore in Messico e poi come coordinatore delle Nazionali argentine, ruolo che ha mantenuto fino alla scomparsa. Il cosiddetto menottismo ha ispirato tantissimi allenatori del calcio moderno, tra cui Guardiola e Scaloni.