Home » I Pionieri del Calcio – Piero Campelli, un talento in presa alta

Sedici anni compiuti da poco più di un mese ma la calma del veterano. Quando Piero Campelli fa il suo esordio nel campionato italiano, con quella che diverrà una seconda pelle più che un maglia, è solamente un ragazzo alle prime armi. Ma ha già le stimmate del predestinato. Il talento non gli manca, la passione neppure. La porta dell’Internazionale lo aspetta e lui si farà trovare prontissimo. “Nasone”, come lo chiamano scherzosamente i compagni, diventerà il perno difensivo dei nerazzurri per quindici anni. Tre lustri che lo consacreranno come uno dei più promettenti numeri uno della sua generazione e durante i quali riuscirà a togliersi diverse soddisfazioni anche in ambito Nazionale.

Portiere innovatore

Piero era nato a Milano il 20 dicembre 1893. Milanese DOC, era un buon atleta prima che un buon calciatore. Sebbene non fosse altissimo, la sua agilità gli permetteva di destreggiarsi con grande agilità tra i pali. Alla base delle sue ottime prestazioni non c’era solamente il talento ma anche una certa cura nella preparazione atletica. Si preparava con grande meticolosità e cercava di migliorarsi costantemente. I suoi compagni capirono subito di avere a che fare con un portiere esemplare. Con lui in porta i nerazzurri avrebbero dormito sonni tranquilli.

Campelli è un portiere moderno. Un innovatore del ruolo, potremmo dire. Rispetto ai suoi colleghi Piero ha uno stile diverso e inconfondibile: anziché respingere di pugno, preferisce bloccare il pallone. Inoltre è l’inventore dell’uscita “in presa alta” e a “ginocchio alzato”, cosa che gli consente di occupare più spazio e di cautelarsi contro i rudi attaccanti dell’epoca, che non lesinavano entrate dure nei confronti del numero uno avversario. Non c’era la famosa “carica sul portiere” e molti di essi se ne approfittavano intervenendo in maniera scoordinata e sciagurata.

Il primo scudetto e la Nazionale

L’anno inaugurale di Campelli coincise con il primo scudetto dell’Internazionale. Dopo un avvio stentato, la squadra milanese riuscì a ingranare, chiudendo la stagione regolare 1909-10 appaiata alla Pro Vercelli. La finale-spareggio farsa contro i ragazzini del club piemontese – mandati in campo dal vulcanico presidente Bozino per protestare contro la decisione della FIGC di giocare il 24 aprile – avrebbe consegnato il primo storico scudetto all’Internazionale. Piero aveva ottenuto la consacrazione che meritava, dopo appena un solo anno di apprendistato.

La stagione successiva l’Internazionale non si ripeté ma Campelli si confermò come uno dei portieri più valorosi della Prima Categoria. Vittorio Pozzo, selezionatore della Nazionale Italiana che avrebbe partecipato alle Olimpiadi di Stoccolma del 1912, cominciò a seguirlo e ad apprezzarne le qualità. L’esordio in Nazionale avvenne il 29 giugno 1912, in occasione dell’esordio olimpico contro la Finlandia. La raffazzonata spedizione azzurra, organizzata in tutta fretta e con pochi soldi a disposizione, cadde contro i finlandesi 3-2 e fu costretta a disputare il torneo di consolazione. Tuttavia, dopo aver vinto di misura contro i padroni di casa della Svezia, l’Italia perse 5-1 contro l’Austria e disse addio alla competizione.

La pausa bellica e il ritorno da protagonista

Tornato nei ranghi, Campelli continuò la sua carriera in nerazzurro, anche se con poche soddisfazioni di squadra, visto che l’Internazionale non avrebbe partecipato alla lotta-scudetto per diversi anni. La fulgida carriera di Piero viene interrotta dallo scoppio della Prima Guerra Mondiale. Nel giugno 1915 il suo reggimento è tra i primi a varcare l’Isonzo e ad attestarsi alle pendici del Monte Nero, poi Campelli è inviato come mitragliere sul Carso. Nonostante combatta spesso in prima linea, a differenza di molti compagni – tra cui il suo capitano Virgilio Fossati – riesce a fare salva la pelle.

Nel 1919 Campelli si ripresentò in nerazzurro voglioso di riprendersi quello che la guerra gli aveva sottratto. Ci riuscì immediatamente, vincendo lo scudetto a dieci anni di distanza dal primo. Il 20 giugno 1920, presso lo stadio Sterlino di Bologna, l’Internazionale si aggiudicò il campionato battendo 3-2 il Livorno. Piero era tornato a essere quello splendido atleta e calciatore ammirato prima della guerra. Viene così convocato per le imminenti Olimpiadi di Anversa. Inizialmente Campelli si accomoda in panchina, visto che il commissario tecnico gli preferisce lo juventino Giacone. Tuttavia l’Italia viene eliminata e nel torneo di consolazione viene data una possibilità a chi non ha giocato. Campelli compreso.

Le ultime soddisfazioni e il ritiro

Comincia qui l’Olimpiade di Piero, che scende in campo con la fascia da capitano nella prima sfida contro la Norvegia. La vittoria arriva con fatica, e solo ai supplementari grazie alla rete di Badini. Poi, nella gara successiva contro la Spagna, c’è una ideale sfida a distanza con l’astro nascente del calcio iberico Zamora. Campelli viene scelto ancora, ma l’Italia non può nulla contro la freschezza degli spagnoli che si impongono 2-0 ed eliminano gli azzurri. La delusione è tanta ma l’anno successivo Piero si prenderà una rinvincita: proprio ad Anversa la Nazionale italiana avrà la meglio sul Belgio campione olimpico per 3-2, anche grazie a un rigore neutralizzato da Campelli. Una cronaca dell’epoca racconta:

“Gli azzurri, chiuso sullo 0-1 il primo tempo, subivano un altro punto suppergiù al quarto d’ora della ripresa, ed allora una parte del pubblico prese a dileggiarli, con l’offensivo grido di “macaronis”. Non ci voleva altro per ridestarne le energie, col risultato che a dieci minuti dalla fine il pareggio era raggiunto da Migliavacca e Forlivesi. Ma proprio verso lo scadere del tempo l’arbitro francese Gérardin decretava un calcio di rigore per un innocuo fallo di mano di Rosetta, che era in coppia con De Vecchi: ebbene, Campelli compiva la prodezza di pararlo, e sulla sua respinta si articolava razione Reynaudi-Cevenini che produceva la rete di Pio Ferraris, cioè la nostra vittoria a un minuto dalla fine”.

Gli ultimi anni di carriera e la morte

Campelli continuò a difendere la porta nerazzurra fino al 1925, quando decise di appendere gli scarpini al chiodo a trentadue anni. La sua era stata una carriera di assoluto prestigio: oltre a essere un innovatore, era stato un portiere di incredibile atletismo e affidabilità. Uno dei protagonisti dei primi due decenni del Novecento, che aveva legato le sue fortune a quelle dell’Internazionale, vestendo per 179 volte quella maglia che sentiva come una seconda pelle divenendo una vera e propria bandiera del club nerazzurro. Morì nel giugno 1946, a cinquantatré anni ancora da compiere, a causa di una crisi cardiaca presso il Policlinico di Milano.

Sitografia:
CAMPELLI Piero (coni.it)
Piero Campelli, gioventù al potere | Storie di Calcio
Piero Campelli | Giocatori | F.C. Internazionale | inter.it