Il calcio, chi ha giocato lo sa, non è solo tecnica e fiato. E’ convinzione, entusiasmo, determinazione, focus su un obiettivo. Sì perché, non fosse così, sarebbe davvero difficile da spiegare l’altalenante stagione della Juventus di Massimiliano Allegri.
Difficile spiegarsi solamente con una disposizione in campo funzionale o una buona condizione atletica quattro mesi, da settembre a fine gennaio, nei quali i bianconeri sono tornati quella squadra “di ferro”, poco accattivante nel gioco ma disarmante per compattezza e agonismo, per la capacità di prendersi o tenersi i tre punti anche nelle situazioni più complicate (vedasi il successo di Monza o di Firenze per farsi un’idea).
Difficile, al contrario, spiegarsi un vero e proprio tracollo come quello registrato dal quell’1-1 casalingo con l’Empoli in poi. 12 punti in 12 partite, frutto di 2 successi (di cui uno sul gong con il Frosinone), 6 pareggi e 4 sconfitte; erano stati 52 nelle precedenti 21 partite, con una media sprofondata da 2,47 a 1 punto per partita.
Cosa sia mai successo nella testa e nello spogliatoio juventino tra il pari casalingo con l’Empoli, l’espulsione di Milik con i toscani e la sconfitta (netta nel gioco nonostante il solo gol di scarto) con l’Inter di Simone Inzaghi è qualcosa che, in parte, rimarrà giustamente nella dressing room dell’Allianz Stadium. Da lì, però, la Juventus si è sbriciolata: le statistiche richiamate poc’anzi sono emblematiche a sufficienza, e il bel duo di gare con Lazio (in Coppa Italia) e Fiorentina sembra già essere un ricordo.
Anche nella gara di venerdì in Sardegna, contro il Cagliari, la gara della Juventus è stata a tratti grottesca. Superati per determinazione, energia ed entusiasmo dagli isolani, solamente un secondo tempo di diversa caratura e l’autorete di Dossena nel finale hanno evitato (in parte) l’ennesima nottata dura ai piemontesi.
Chiaro, in soldoni, come in termini di entusiasmo, di convinzione, scoprirsi così distanti dall’Inter probabile Campione d’Italia ha minato il carattere di una squadra (se non giovane) inesperta. Qui, probabilmente, si insediano le maggiori responsabilità di un Allegri che per oltre due mesi non è riuscito a toccare “i punti giusti” di uno spogliatoio collassato su stesso. Chiaramente anche i teorici “leader” di spogliatoio, da Szczęsny a Danilo passando per Chiesa e Locatelli, avrebbero dovuto saper aiutare a gestire diversamente la buriana.
Individuare i “colpevoli”, comunque, lascia il tempo che trova. Con il quinto posto Champions la partecipazione alla prossima ex-Coppa dei Campioni è virtualmente certa, ma arrivarci con un filotto di risultati positivi dovrebbe essere doveroso in casa Juventus. La prossima estate sarà la prima “vera” per Giuntoli, chiamato a sciogliere diversi nodi: da quello legato a un allenatore apparentemente sempre più lontano dal mondo Juventus, alla permanenza di alcuni giocatori (Chiesa, Bremer) messa a repentaglio da un rendimento non sempre sufficiente e dalle esigenze di cassa dei bianconeri. Insomma, il rischio in casa Juventus è quello di una parziale rifondazione. L’ennesima degli ultimi anni, per il disappunto di una tifoseria sabauda.