Pantani, quel Tour de France del 2003 – 3/a puntata
A 20 anni dalla sua prematura scomparsa, il ricordo di Marco Pantani è ancora ben saldo nel cuore di tutti gli appassionati di ciclismo e non solo. Non esisterà mai la controprova, ma chissà cosa sarebbe accaduto se il Pirata avesse avuto la possibilità di disputare il Tour de France 2003, quello del Centenario. Allora, proviamo lo stesso a farglielo correre…
Parigi, 3 luglio 2003 – La Torre Eiffel? No. La Gioconda? Neanche. La cattedrale di Notre-Dame? Negativo. In questo primo giovedì pomeriggio di luglio 2003, il “Monumento” più atteso di tutta Parigi non è un dipinto, non è un’opera di architettura né una scultura ma è uno “scricciolo” alto 172 centimetri per 57 kg di peso proveniente da Cesenatico, Italia.
Già, fotografi, giornalisti e, soprattutto, tifosi sono tutti per Marco Pantani. “Mamma mia quanta gente”, fa il Pirata sul pullman della Banesto-Carrera che si è appena parcheggiato nell’area adibita vicino a Place de la Concorde, dove tra pochi minuti si terrà la presentazione delle squadre che partecipano al Tour de France del Centenario.
E come una sposa in un matrimonio, Marco si vuol godere quel momento facendosi attendere e fa scendere dal pullman per primi tutti i suoi compagni. Scende Roberto Conti, l’unico gregario che il Pirata ha voluto con sé dalla Mercatone Uno.
Scende il capitano designato della squadra, lo spagnolo Francisco Mancebo assieme al suo fido gregario Pablo Lastras. Scende l’uomo da classiche Juan Antonio Flecha. E scendono i tre russi che completano il quadro: Menchov, Karpets e Petrov.
Marco è in fondo alla fila, vestito con la divisa della sua nuova formazione: maglia blu Banesto e, soprattutto, pantaloncini blue jeans Carrera, un’icona del ciclismo che ritorna in gruppo dopo sette anni di assenza.
Ha deciso di far passare avanti i suoi compagni per due motivi. Un po’ per una malcelata vanesia, senz’ombra di dubbio. Ma anche perché quel capannello di giornalisti e fotografi in attesa gli ha riacceso in mente un brutto ricordo. Anzi, il brutto ricordo per eccellenza.
Torna alla mente quel volto spento, quella ferita alla mano provocata rompendo un vetro della finestra della camera d’albergo per rabbia, quella maglietta indossata non rosa come avrebbe dovuto essere ma grigio sbiadito.
Torna alla mente quel controllo che non passerà alla storia per la correttezza dei protocolli, torna alla mente quel reclamo mancato per farlo correre lo stesso sub iudice.
Insomma, torna alla mente il 5 giugno 1999 e Madonna di Campiglio. Un evento che l’ha abbattuto ma dal quale Pantani ha dimostrato di potersi rialzare. E quella consapevolezza adesso è più forte della tristezza.
Anche perché, in questa salita lunga 4 dolorosi anni, al Pirata non è mai mancato l’apporto dei suoi tifosi.
E il mondo del ciclismo ne ha pienamente contezza circa 15 minuti dopo la sua discesa da quel pullman.
Il tempo necessario per far annunciare dal conduttore della presentazione la salita sul palco della Banesto-Carrera ed è subito delirio.
“Pantanììììì, Pantanììììì, Pantanììììì“, l’urlo della folla assiepata (con “i” finale rigorosamente accentata alla francese) a Place de La Concorde è quasi ultrasonico.
Il Pirata ci mette ben 5 minuti 5 per poter pronunciare parola da un volto che è un misto di pudico imbarazzo e di sincera commozione.
Marco è sintetico e sincero: “Ho voglia di ritornare a farvi entusiasmare. Io e Francisco Mancebo partiremo alla pari e proveremo a impensierire tutti. E con tutti intendo proprio tutti”. Place de La Concorde saluta queste parole con un altro grande boato di approvazione sentito da tutti. Proprio da tutti. Vero, Lance Armstrong?