Ieri mi trovavo all’IBC Center di Lissone, centro tecnologico della Serie A (dove ci sono le sale VAR, per intenderci) per lavorare su produzioni video che non vi sto a spiegare per non annoiarvi con eccessivi tecnicismi (però fidatevi, il prodotto che ne esce è interessante ed è abbastanza visto direi). Dovevo concentrarmi su ciò che succedeva in Salernitana-Lecce, sfida retrocessione. Ultima chiamata salvezza, praticamente, per i granata; prima sulla panchina dei salentini per Gotti, dopo il caos D’Aversa e la testata data a Henry nell’immediato post-partita con il Verona. Salernitana-Lecce è finita 0-1: partita decisa da un autogol di Gyomber, esordio col botto per Gotti, il Lecce vince per la prima volta in trasferta in questa stagione (!).
Mentre guardavo la partita, ieri pomeriggio (come sono cambiati i miei sabato, mamma mia. Però, a pensarci, neanche mi dispiacciono molto: sognavo di lavorare nel calcio. Però mi fermo qui, non voglio divagare) due pensieri mi rimbalzavano in testa. Il primo, che stavo assistendo a una partita a mio parere ben lontana dagli standard di un massimo campionato europeo. Non si è visto un gran gioco, per quanto il primo tempo abbia regalato più di un’occasione a entrambe le squadre; però, ecco, è stata una partita in cui tatticamente e tecnicamente – a parte qualche parata di Falcone, il portiere del Lecce – non c’è stato molto da fotografare e inserire nell’album dei nostri ricordi. Il secondo pensiero, che la Salernitana non si salverà mai.
Piano, piano con i “buongiorno principino, ben svegliato”. Mi spiego: non volevo essere banale. Mi spiego e sarò breve. La Salernitana, a gennaio, ha chiesto a Walter Sabatini – richiamato in fretta e furia dopo i litigi dello scorso anno post-miracolo salvezza all’ultima giornata – di mettere le pezze a una situazione piuttosto complicata. Il fatto è che, per quanto Sabatini sia uno che questo ambiente lo conosce e se lo gode, ci son progetti che, in alcune annate, partono male e per quanti sforzi si facciano non si raddrizzano mai. La Salernitana, in estate, ha costruito delle fondamenta non così solide per questa Serie A, e a gennaio – nonostante Sabatini, Manolas e il cambio di Inzaghi con Liverani in panchina – non è riuscita a stravolgere la sua identità. Anzi: il caso Dia ha piazzato il carico a coppe su una situazione tutt’altro che rosea. Mi chiedevo, ieri pomeriggio, guardando i continui e infruttuosi tentativi di Tchaouna di buttarla in porta, se davvero la mossa di allontanare Dia sia stata opportuna. Nel senso: è appurato che il calciatore abbia sbagliato e non abbia portato rispetto a compagni e allenatore, rifiutandosi di scendere in campo a pochi minuti dalla fine del match contro l’Udinese; ma con la salvezza nel mirino, limitarsi a una multa (mostruosa, perfino) non sarebbe stata una mossa win-win? Dia avrebbe continuato a giocare (pur pagando, tanto) e la squadra avrebbe avuto il suo miglior attaccante a disposizione. Ok, avrebbe creato un precedente, però: la situazione attuale – retrocessione a un passo – è più o meno pesante di un qualcosa che potrebbe avere il rischio, in futuro, di ripetersi?
In sostanza, Dia l’avrei tenuto in rosa. Così come – mi perdonerà Liverani, bravo allenatore ma non proprio un laureato in retrocessioni da evitare – avrei preso, al posto di Inzaghi, uno dei volponi della lotta salvezza. Era libero Ballardini, ricordo, prima che andasse poi a Sassuolo. Ecco, con uno così, che sa quali tasti premere in questi casi, Sabatini avrebbe – secondo me, ripeto e ribadisco – avuto molte più chance di evitare la prima e unica retrocessione della sua carriera. Ormai imminente. Invece, è andato all-in con l’ultimo paio di fiches che gli erano rimaste; peccato, il Croupier sembra aver lanciato la pallina molto lontano dalla sua puntata.