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I Pionieri del Calcio – La vita stroncata di Abdon Sgarbi, il faro del centrocampo del Milan

Il Milan perde con Sgarbi il suo centro sostegno, l’Italia un bel giocatore, forte, corretto, generoso fisicamente e moralmente. Sgarbi era già arrivato alla notorietà e al riconoscimento ufficiale dei suoi meriti, ma prometteva di arrivare anche più in là. Ancora giovane, serio e appassionato in allenamento e in gara, non era difficile pronosticare nel solido e fine giocatore attuale un astro del domani. La morte ha spezzato brutalmente tali speranze e ha steso una striscia di lutto dove prima pulsava tanto alitare di vita. (Gazzetta dello Sport, 18 agosto 1929).

La carriera di Abdon Sgarbi sembrava in procinto di spiccare definitivamente il volo. Erano passati appena due mesi dal termine del campionato, che aveva visto il suo Milan, di cui era capitano, piazzarsi al secondo posto in classifica nel Girone A di Prima Divisione. Sarebbero stati decenni avari per il Milan, che dopo il successo nel 1907, sarebbe tornato a conquistare lo scudetto solo nel 1950. Ma quell’anno i rossoneri ottennero comunque un piazzamento prestigioso alle spalle del Torino (che poi perse la finalissima contro il Bologna).

Abdon era nato il 29 marzo 1903 a Badia Polesine, un piccolo comune in provincia di Rovigo. Si trasferì nella vicina Ferrara, appena diciottenne, per vestire la maglia della SPAL. Il momento più alto della sua esperienza spallina fu indubbiamente la semifinale del campionato di Prima Divisione raggiunta nel 1922. La SPAL si arrese solamente ai supplementari alla Sampierdarenese, che poi venne a sua volta sconfitta dalla Novese in finale. Sgarbi era un centrocampista tenace ed elegante. Non molto alto, ma dotato di una intelligenza non facile da reperire.

Le buone prestazioni con la SPAL sortirono l’interesse di club importanti, tra cui appunto il Milan. I rossoneri lo tesserarono nel 1927 e Sgarbi divenne subito una colonna portante del gioco. Era il centro-sostegno ideale, il centrocampista di qualità e quantità di cui l’allenatore Burgess aveva bisogno. In due stagioni scese in campo 62 volte, comprese le due partite di qualificazione della Mitropa Cup. Sgarbi era arrivato al Milan senza troppi clamori. In punta di piedi, timidamente, come lasciava presagire il suo carattere schivo. Eppure si era conquistato subito la stima e il rispetto di tutti. Non parlava molto, ma quando lo faceva le sue parole rimanevano impresse. “Prima di piegarci devono mangiar la terra”, era solito dire prima di un derby. Era l’ultimo ad arrendersi, a issare bandiera bianca. E il primo a prendersi le sue responsabilità quando le cose non andavano per il verso giusto.

Il 28 aprile 1929 fece anche il suo esordio in Nazionale, nella sconfitta contro la Germania: nella stessa gara debuttarono future figure di spicco come Combi, Rosetta e Schiavio. Il commissario tecnico Carcano si era accorto delle qualità di Abdon e lo aveva lanciato. Chissà come sarebbe potuta essere la sua carriera in maglia azzurra. Era il tipico giocatore che fa sempre comodo: se c’era da lavorare di fioretto o di sciabola, lui c’era comunque, non si tirava indietro in nessun modo.

Quattro mesi più tardi Abdon si trova nella sua Ferrara, a riposare in attesa del nuovo inizio del campionato. Non vede l’ora di ricominciare a giocare: ne è certo, il suo Milan non deve accontentarsi e può migliorare il secondo posto nel girone. Lui si sente pronto a recitare la sua parte. Ma un lunedì mattina si sente poco bene. Chiama il medico, la diagnosi è terribile: attacco di tifo. Le prime cure sembrano funzionare, Abdon migliora, ma poi crolla improvvisamente. Dopo mezzogiorno del 17 agosto 1929 perde conoscenza e tornerà più in sé. Muore dopo trentasei ore di agonia, alle 16 del 18 agosto. Il Milan perde il suo faro, il calcio italiano un potenziale futuro campione.