“Siamo con te, forza Gigi”. Con queste poche e semplici parole il Cagliari Calcio soltanto poche ore prima aveva espresso, attraverso i social, la propria vicinanza a Riva e alla sua famiglia. E tra le righe si leggeva una certa preoccupazione per le condizioni di salute del campione più rappresentativo della storia della società rossoblù. Ma quelle, in fondo, erano anche le parole di una città, anzi, di un’intera isola, che piange la morte del proprio idolo e già maledice la sera del 22 gennaio del 2024, così come per oltre mezzo secolo ha benedetto quel 7 novembre del 1944.
Fra queste due date, una storia straordinaria di calcio e di vita, che però ha radici semplici, comuni, le radici di un ragazzo nato a Leggiuno, nel varesino, da una famiglia modesta e fra infinite difficoltà. Poi il calcio, che irrompe nella vita come un uragano in grado di capovolgerti l’esistenza, in maniera definitiva e irreversibile. Dal Legnano al Cagliari, il resto è storia di questo sport. Quella che all’inizio pareva una punizione (d’altronde in Sardegna ti mandavano per espiare qualche colpa, quasi fosse un esilio forzato), si è rivelata una incredibile storia d’amore. Un uomo che veniva dalle regioni del Nord, ricche e sviluppate, e finiva per innamorarsi di un Sud isolato, arretrato e persino dimenticato, diventando sardo fra i sardi. In una parola: Mito.
Quel fantastico Scudetto conquistato il 12 aprile del 1970 porta il marchio indelebile di Gigi Riva, implacabile bomber di quegli anni e capocannoniere del campionato 1969/70. Uno Scudetto, il primo nella storia del calcio italiano conquistato da una squadra del sud, che da allora è leggenda. Nei locali e nelle case del capoluogo sardo, ancora oggi, vedi le immagini e gli articoli di giornale appesi sui muri, in bella mostra, quasi a ricordare che è accaduto davvero. Che quel Cagliari ha tolto uno scudetto alle “grandi” del nord Italia e che “Giggirriva ce l’abbiamo noi”, e non l’Inter o la Juventus.
Ma Gigi Riva è stato anche una leggenda della Nazionale, in campo e fuori. Fra i protagonisti del Mondiale del ’70, campione d’Europa nel ’68 e, ancora oggi, miglior marcatore in maglia azzurra con 35 reti. Per non parlare del prezioso ruolo ricoperto per anni come accompagnatore e dirigente della Nazionale, compreso nel 2006, quando festeggiò la vittoria dei Mondiali con Lippi, Buffon, Cannavaro e gli altri azzurri campioni del mondo.
Rombo di Tuono, soprannome devastante, quasi fuori dal tempo, coniato da quell’illuminato maestro di giornalismo che è stato Gianni Brera, ha disegnato calcio, ha dispensato gioia, ha unito un popolo intero, riscattandolo e restituendogli dignità. Già, perché la Sardegna, prima del ’70, era soltanto una terra dimenticata, l’isola dei banditi e delle pecore, di popoli testardi e inospitali. Poi, grazie alla magia del sinistro di Riva e delle sue rovesciate, si è trasformata nel paradiso del sole e del mare, nella casa di un popolo generoso, fiero e accogliente. Il tutto nel segno del calcio, di uno Scudetto che era e resta scolpito nel cuore dei sardi e di tutti coloro che si innamorarono di quel Cagliari e delle sue gesta.
Come Maradona per i napoletani, Gigi Riva ha valorizzato un popolo, gli ha dato voce, l’ha reso fiero e unito. Ha sposato la Sardegna e i suoi abitanti, scegliendo Cagliari come il luogo ideale dove crescere la propria famiglia. Si è innamorato di una terra e ha ricevuto in cambio il rispetto, la riconoscenza e l’amore infinito dei sardi. Fino a questo maledetto 22 gennaio, che ci ha portato via l’uomo, ma che ci lascia l’assoluta certezza che, finché i nonni lo racconteranno ai propri nipoti, la leggenda e il Mito vivranno per sempre.
Grazie Gigi, infinito Campione.