Ogni anno il quotidiano spagnolo Marca consegna il Trofeo Pichichi al capocannoniere della Liga. Un riconoscimento particolarmente apprezzato fin dalla sua istituzione – avvenuta nel 1952-53 – e intitolato a Rafael Mª Miguel Moreno Aranzadi, attaccante e bandiera dell’Athletic Bilbao meglio conosciuto proprio con il soprannome di “Pichichi“.
Rafael Mª Miguel Moreno Aranzadi nacque a Bilbao il 23 maggio 1892 da una famiglia che potremmo definire di estrazione ricco-borghese. Il padre, Joaquín Moreno Goñi, era un prestigioso avvocato e sarebbe diventato sindaco di Bilbao all’inizio del Novecento. Giocoforza si sarebbe aspettato, da parte del figlio, un grande impegno dal punto di vista scolastico. Seguendo le orme del genitore Rafael avrebbe dovuto studiare e laurearsi in Giurisprudenza. Ma il giovane basco aveva tutt’altro in testa. Non riusciva a concentrarsi, chinato su quei volumi di 500 pagine ciascuno. La sua mente fantasticava, trasportandolo sul rettangolo verde e facendogli immaginare finte e controfinte, smarcamenti e tiri in porta. In testa aveva solo il pallone.
Grazie alle sue conoscenze, don Joaquín collocò il figlio ribelle nell’ufficio del comune. Era l’ultimo disperato tentativo di riportarlo sulla retta via. Ma Rafael non aveva nessuna voglia di assecondare il padre. Divenne un cattivo funzionario, uno di quelli che fa di tutto per non fare niente. Di fronte all’incapacità di mettere radici nel servizio pubblico, “Pichichi” venne assunto dai coniugi Merodio, importanti commercianti di rottami in un’epoca in cui il ferro alimentava una potente industria siderurgica. Ma nemmeno questa avventura lavorativa andò per il verso giusto. L’unico posto in cui Rafael metteva il massimo impegno rimaneva il campo da calcio.
Rafael non era particolarmente alto, ma riuscì lo stesso a emergere contro difese solitamente ben strutturate. Soprattutto grazie a doti tecniche fuori dal comune e un’astuzia che sarebbe divenuta il suo marchio di fabbrica. I suoi dribbling ubriacanti finivano per coprire di ridicolo i malcapitati difensori. A volte sembrava estraniarsi dal gioco, posizionandosi in una zona morta, ma appena partiva un lancio in profondità si avventava sul pallone con una rapidità tale che i diretti avversari venivano bruciati sul tempo. Spesso usava stratagemmi ai limiti della correttezza, sui corner cercava di distrarre i suoi marcatori parlandogli o calpestandogli volontariamente gli scarpini per impedirgli di saltare. Contava sul fatto che i suoi avversari non conoscevano i suoi modi di fare. D’altronde Rafael era così, prendere o lasciare. Il suo modo di stare in campo, scanzonato e provocatorio, rifletteva la sua persona. Era un ragazzo malizioso e scherzoso, sempre pronto alla battuta.
Il debutto ufficiale con la maglia dell’Athletic avvenne il 17 marzo 1913, quando la squadra basca sconfisse nettamente il Real Madrid in Copa del Rey. Per Pichichi fu un giorno glorioso, visto che due delle tre reti portarono la sua firma. Peccato che quell’anno la compagine rojiblanca perse la ripetizione della finale e dovette cedere il passo nel derby basco contro il Real Unión Club de Irún. Si sarebbe rifatta con gli interessi negli anni successivi, quando sarebbe riuscita a conquistare il prestigioso trofeo per tre volte consecutive. Nella finale del 1915 la tripletta di Pichichi spianò la strada per il trionfo (5-0) a scapito dell’Espanyol.
Al termine del 1919 la Federazione spagnola cominciò a lavorare all’idea di schierare una squadra ai successivi Giochi Olimpici di Anversa. Per poter competere con le altre Nazionali europee, si decise di affidarsi in primis a calciatori abituati a giocare sull’erba e non sui campi in terra battuta. Per questo motivo i primi calciatori selezionati provenivano dalla Galizia, dalle Asturie, dalla Catalogna e dai Paesi Baschi. Pichichi stava vivendo un periodo piuttosto difficile, dal punto di vista calcistico: il recente matrimonio e la luna di miele gli avevano impedito di giocare con continuità, ma soprattutto era entrato nella fase discendente della propria carriera. Il suo fisico mostrava già i primi segni di stanchezza ma alla fine Pichichi si convinse e fece parte della spedizione che avrebbe giocato le Olimpiadi.
La medaglia d’argento rappresentò il canto del cigno per Pichichi. Il rapporto con i tifosi dell’Athletic, un tempo suoi accaniti sostenitori, era ormai logoro. “Vecchio, vattene subito”, “Stattene a casa!”, erano le frasi che riceveva abitualmente. Ferito nell’orgoglio, ma consapevole che i suoi giorni d’oro erano andati, l’attaccante basco annunciò il suo ritiro dal calcio giocato per dedicarsi alla carriera di arbitro. Non fece in tempo, però, ad aprire questo nuovo capitolo della sua vita. Soltanto quattro mesi dopo aver ufficializzato il suo pensionamento, alle 4,30 del mattino del 2 marzo 1922, morì dopo diversi giorni di malattia, vittima di febbre tifoide contratta, a quanto pare, dal consumo di ostriche infette. Bilbao perse il suo campione, ma la memoria delle gesta di Pichichi rimase scolpita per sempre.