Ai Mondiali del 1930 solo l’Uruguay riuscì a fermare la corsa della forte Jugoslavia. La Nazionale balcanica perse contro i padroni di casa in semifinale, con un punteggio largo (6-1) ma recriminando per alcune decisioni arbitrali. Dopo essere passata in vantaggio al 4′ con Vujadinović, venne raggiunta e superata nel giro di un quarto d’ora dalle reti di Cea e Anselmo. Ma al centro delle polemiche era finita la rete del 3-1, realizzata grazie all’assist di un poliziotto, che aveva rimesso maliziosamente la palla in gioco dopo che era uscita dalla linea. L’arbitro brasiliano Gilberto Arminio de Almeida Rêgo aveva convalidato. Da quel momento l’Uruguay aveva giocato sul velluto ed era riuscito ad arrotondare tennisticamente il punteggio, ottenendo il pass per la finale con l’Argentina.
Fino alla semifinale quello della Jugoslavia era stato un percorso netto. Inserita nel gruppo 2 con Bolivia e Brasile, si era qualificata a punteggio pieno battendo i boliviani per 4-0 e i brasiliani per 2-1. Fu proprio la scontro diretto contro i verdeoro, giocato il 14 luglio, ad essere decisivo per proiettarla in semifinale. I gol erano stati realizzati da Tirnanić e Bek nel corso del primo tempo e a nulla era valsa la rete di Preguinho nella ripresa. La Jugoslavia aveva mostrato un buon gioco e un encomiabile spirito di sacrificio respingendo ogni velleità di rimonta del Brasile.
Il merito fu attribuibile principalmente a Milovan Jakšić, estremo difensore del Soko (oggi BASK). Pur non essendo altissimo (176 cm) era molto agile e forte fisicamente e, grazie ai suoi poderosi riflessi, riuscì a blindare la porta. I brasiliani tentarono in tutti i modi di superarlo, ma Jakšić tirò letteralmente giù la saracinesca. Tanto da guadagnarsi, da parte dei giornalisti presenti, l’appellativo di “El Grande Milovan”. La difesa era guidata dal capitano, Milutin Ivković, compagno di squadra di Jakšić, che aveva debuttato in Nazionale il 28 ottobre 1925 in occasione della disfatta casalinga contro la Cecoslovacchia (7-0). Ivković sarebbe morto nel 1943, ucciso dai nazisti, a causa della sua collaborazione con i partigiani jugoslavi.
I perni del centrocampo erano Milorad Arsenijević del BSK Beograd e Momčilo Djokić del SK Jugoslavija. Il primo, dopo aver debuttato appena quattordicenne nelle fila del Mačva Šabac, si era trasferito a Belgrado per studiare ed era stato ingaggiato dalla squadra più blasonata della capitale. Si sarebbe rivelato un calciatore di grande affidamento, tanto da collezionare cinquantadue presenze con la maglia della Nazionale. Il secondo era considerato una delle ali più talentuose del suo paese. Prediligeva giocare a sinistra, ma era un calciatore duttile, che poteva prestarsi a più ruoli. Le sue apparizioni con la Jugoslavia si sarebbero fermate a tredici.
Aleksandar “Tirke” Tirnanić era un’ala prorompente, dall’alta media realizzativa. Fu lui, contro il Brasile, a realizzare il primo gol assoluto della Nazionale slava ai Mondiali. Tirnanić aveva un’intesa particolare con Blagoje Marjanović, suo compagno di squadra al BSK Beograd. Questi era un calciatore intelligente, la sua imprevedibilità in area avversaria era un’arma efficace e sapeva segnare da ogni posizione. Di lui si diceva che conoscesse alla perfezione le caratteristiche di tutti i suoi compagni e che sapesse interpretare quasi sempre le loro intenzioni.
Il trio del BSK era completato da Đorđe Vujadinović, attaccante assai prolifico con un innato fiuto del gol. La sua rete contro l’Uruguay illuse la Jugoslavia, che venne raggiunta e letteralmente travolta dai padroni di casa. In carriera divenne più volte capocannoniere del campionato jugoslavo e segnò più di 400 gol. Infine c’era Ivan Bek, nato a Belgrado da padre tedesco e madre ceca, che si era messo in luce in Francia con la maglia del Séte. Con i suoi 196 cm giganteggiava nell’area avversaria e andò a segno tre volte (una col Brasile, due con la Bolivia) nel girone di qualificazione. Avrebbe raccolto otto presenze totali in Nazionali, prima di vestire anche la casacca della Nazionale francese (4 presenze senza gol) tra il 1935 e il 1937.
Non essendo ancora prevista l’assegnazione del terzo e quarto posto, la Nazionale guidata dall’architetto Simonovic ricevette la medaglia di bronzo, al pari degli Stati Uniti, sconfitti nell’altra semifinale – con lo stesso punteggio di 6-1 – dall’Argentina. La Jugoslavia si fermò sul più bello, mettendo fine a un campionato del mondo che l’aveva consacrata come la squadra europea più forte (anche se, a onore del vero, erano presenti solo 4 formazioni del Vecchio Continente, Francia, Belgio, Romania e appunto Jugoslavia). Si fece apprezzare per il gioco efficace ed efficiente, in cui riusciva a esaltare le qualità dei singoli.
Purtroppo per gli slavi, l’exploit del 1930 fu estemporaneo. Non riuscirono a ripetersi e anche nemmeno ad avvicinarsi all’impresa del mondiale uruguaiano. Nei successivi Mondiali del ’34, giocati in Italia, la Jugoslavia non si qualificò nemmeno, superata da Svizzera e Romania nel girone di pre-qualificazione. Stessa sorte nel 1938, quando perse nettamente lo spareggio contro la Polonia. Solamente nel Dopoguerra, nel 1950, che la Nazionale slava sarebbe tornata a partecipare a un Mondiale di calcio, terminando la propria corsa al primo turno.