Pallone Noir – Dan Coe, l’ultima parola
La parabola di Dan Coe, calciatore attivo negli anni ’60 e ’70, è emblematica perché rimanda a tante altre storie oscure legate alla dittatura in vigore in Romania fino al 1989.
La parabola di Dan Coe, calciatore attivo negli anni ’60 e ’70, è emblematica perché rimanda a tante altre storie oscure legate alla dittatura in vigore in Romania fino al 1989. Giocatore di spessore e presente con la Nazionale a un’edizione dei Giochi Olimpici e al campionato del mondo di Messico 1970, Coe iniziò il lungo addio alla sua vita con 10 anni d’anticipo: ora ne riscopriremo la triste e dolorosa vicenda, che incastra tra loro parti legate a pallone, onestà intellettuale, politica e repressione.
Daniel Coe nasce a Bucarest (Romania) il 19 ottobre 1941, facente parte del gruppo etnico aromuno. Difensore centrale di ottima tecnica e personalità, cresce nel Rapid e lì arriva al debutto nella massima serie – la Divizia A – durante la stagione 1961-62. La sua ascesa è talmente rapida che passano appena 15 mesi e viene chiamato per la prima volta in Nazionale. L’esordio è datato 12 maggio 1963, in amichevole contro la Germania Est: arriveranno in seguito altri 40 gettoni in maglia gialla. Nel 1964 partecipa alle Olimpiadi di Tokyo, continuando nel frattempo a consolidarsi tra i migliori giocatori del Paese. Tanto che per lui viene coniato il soprannome di “Ministro della Difesa” (Ministrul Apărării). Crede nella scaramanzia, Dan. Non si risparmia mai, sul campo e nel dialogo.
La grande ribalta, per lui e la Romania, arriva in occasione della Coppa Rimet 1970 in Messico. Coe è stato un punto fermo nelle qualificazioni: tuttavia non viene mai utilizzato nelle tre partite durante la fase finale, una delusione notevole per il giocatore che chiude con la rappresentativa l’anno seguente. Nel 1971 lascia il Rapid Bucarest dopo oltre 200 gare ufficiali e lo status di leggenda. Ottiene dal regime un visto turistico per il Belgio: in realtà vuole lasciare definitivamente il Paese e avere la possibilità di firmare con un club straniero, tra i primi rumeni a farlo. Si lega con i belgi dell’Anversa, che lascia dopo un biennio. Cerca di tornare al vecchio amore, il Rapid, però trova le porte chiuse in quanto ritenuto in là con gli anni. Ripara a Galati, in cadetteria. Chiude la carriera nel 1974.
Perché nell’introduzione abbiamo parlato di un lungo addio alla vita iniziato 10 anni prima? Il motivo è presto detto: Coe, dal momento in cui aveva richiesto il visto per espatriare, era finito sotto i riflettori della Polizia e non lo agevolò la collaborazione successiva con Radio Free Europe (emittente anticomunista, fondata e finanziata dagli USA), in Germania, dove si era stabilito come rifugiato politico: da lì indirizzò degli interventi molto critici contro la dittatura di Ceausescu, rimembrando inoltre la figura del padre Duce – ex calciatore e legionario nemico del comunismo – sgradito a Ceausescu. Pochi giorni dopo l’ultima presenza in radio, fu trovato senza vita nel suo appartamento a Colonia: era il 19 ottobre 1981. Una morte alquanto sospetta.
Dan era stato infatti trovato con le ginocchia vicino al petto e una corda al collo, legata alla porta del balcone della soffitta. Non è mai venuto a galla cosa fosse realmente successo quel giorno: ma che l’ultima invettiva lanciata via radio da Coe contro il regime in Romania avesse visto entrare in azione la Securitate… rappresenta un plausibile scenario, mai comunque dimostrato. Di certo c’è però che l’ex difensore non se la passasse bene: erano ormai lontanissimi i tempi del successo come sportivo. Per lui, ora, solo un lavoro come lavapiatti in un ristorante rumeno a Colonia.
Scenario suicida, e pure quello complottista, smentiti da un ex compagno di Coe nel Rapid, Ilie Greavu: “Non credo che la Securitate sia stata coinvolta nella morte di Dan. Aveva avuto qualche problema in passato perché, in un torneo del Rapid in Francia, aveva cambiato un po’ di valuta: cosa vietata a noi calciatori“.
Di sicuro, l’ipotesi di un suicidio non ha mai convinto nessuno. Intrecciata alla vicenda della sua morte, la presenza di tre donne: la moglie Elena “Pusha” e la figlia Dana, più Luminita, una donna di nazionalità rumena che Coe aveva conosciuto in Germania e con cui aveva intrecciato una relazione, nonostante il matrimonio mai sciolto con Elena. La quale fu autorizzata a recarsi in Germania per il funerale: lei e la figlia non avrebbero più fatto ritorno in Romania dopo il decesso di Dan. Luminita aspettava un figlio da Coe.
Così un altro compagno al Rapid, Viorel Kraus: “Dan non aveva peli sulla lingua, discuteva con tutti. Ma era onesto, quando sbagliava lo ammetteva. L’ho sentito parlare a Radio Free Europe: però è difficile per me ricordare quello che ha detto 40 anni dopo. In ogni caso, era molto critico nei confronti del regime rumeno, provava tanto odio“.
Dan Coe è stato sepolto nel cimitero di Melaten, a Colonia. La vedova Elena vive negli Stati Uniti, mentre l’unica figlia Dana è scomparsa nel 2021 per un male incurabile. Il figlio di Coe e Luminita è morto dopo pochi mesi. A 42 anni dalla scomparsa, non è ancora venuto alla luce il referto dell’autopsia e nemmeno il possibile dossier della Securitate sull’ex calciatore. E purtroppo anche la sua tomba oggi non esiste più.
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(Fonti: prosport.ro / arevarul.ro / a1.ro)