Bobby Charlton, il Diavolo rosso
La morte di Bobby Charlton (che era nato l’11 ottobre 1937 ad Ashington, nella contea del Northumberland), mi ha fatto venire in mente un aneddoto personale. Quando esisteva ancora il vecchio Wembley, durante la visita di gruppo, la guida portava i turisti anche in sala stampa. Veniva quindi proiettato un filmato della finale Inghilterra-Germania del 1966. La storia è nota: all’11’ del primo tempo supplementare Alan Ball crossa per Hurst, che calcia con violenza in porta. La palla colpisce la traversa e torna in campo, dopo essere rimbalzata sulla linea. Il guardalinee Tofik Bakhramov, dell’allora Unione sovietica, non ha dubbi, e si porta verso il centrocampo, L’arbitro, lo svizzero Gottfried Dienst, non se la sente di contraddire il suo collaboratore: 2-1 per i padroni di casa, ed episodio forse decisivo per assegnare la Coppa Rimet 1966.
La guida, ovviamente, si guardava bene dall’affermare che il pallone fosse entrato in porta: ma, subito dopo, con gesto teatrale, mostrava la traversa, appesa al muro della sala stampa, sulla parete di destra, vista dal tavolo dei relatori. Una beffa atroce per i cronisti germanici, quando si ritrovavano a Wembley. Un episodio che la dice lunga sulla passione del calcio degli inglesi, sul loro spirito goliardico, sulla rivalità con i tedeschi (pur essendo anche gli inglesi un popolo germanico, lo ricordiamo: la stessa famiglia Windsor è del casato tedesco di Sassonia-Coburgo-Ghota, mentre la regina Vittoria faceva parte di quello di Hannover). Ecco, Bobby Charlton è stato forse la bandiera di quella squadra, nell’unico successo (finora) della nazionale dei Tre Leoni in un mondiale.
Il giocatore non era solo un attaccante (anzi, per molti critici non lo era affatto, perlomeno per chi pensa all’uomo che sta davanti semplicemente in qualità di finalizzatore della manovra dei compagni), ma un calcatore dotato di una sopraffina tecnica individuale, che gli permetteva comunque di segnare tantissimo. Forte nei tiri da lontano, negli strappi, con un’innata capacità di sfruttare gli spazi, aveva anche un talento naturale come colpitore di testa, gesto tecnico che gli ha consentito di segnare tantissimi gol: 199 solo con il Manchester United, e 49 in nazionale (in 106 presenze).
Bobby Charlton sopravvisse alla tragedia di Monaco di Baviera del 6 febbraio 1958, quando l’incidente aereo occorso al volo British European Airways 609 si porto via 23 persone, tra le quali 8 giocatori dei Red Devils, 3 membri dello staff, diversi giornalisti sportivi e membri dell’equipaggio. La tragedia ebbe una grande eco anche in Italia, segnata solo 9 anni prima dal dramma analogo di Superga. Il disastro, naturalmente, colpì nel profondo il giocatore, allora ventenne, sul quale la dirigenza del club decise di ricostruire la squadra.
Il Manchester United, guidato da Charlton, vinse, negli anni successivi, una Coppa d’Inghilterra (1962/63), 3 campionati (1956/57, 1964/65, 1966/67) e 4 Charity Shield (1956,1957, 1965, 1967). In campo internazionale, quello che da molti viene considerato il più grande giocatore della storia del calcio inglese vinse la Coppa campioni nella stagione 1967/68. L’anno successivo il suo Manchester, da detentore del trofeo, venne eliminato dal Milan di Gianni Rivera in semifinale, anche se il grande protagonista della partita di ritorno in terra britannica fu il portiere Fabio Cudicini, da quel giorno soprannominato il Ragno Nero dalla stampa d’oltre Manica. E furono proprio i rossoneri ad aggiudicarsi, qualche settimana più tardi, il trofeo, superando a Madrid l’Ajax, dove giocava un altro fenomeno: Johan Cruyff.
Erano i primi segnali del declino: la grande mezzala lasciò la nazionale dopo i Mondiali del Messico, nel 1970. Il suo record di gol segnati con la maglia dei Tre Leoni venne superato da Wayne Rooney (anche lui grande bandiera dello United) ben 45 anni dopo, in un mondo e in un calcio diversissimi. Siamo infatti dell’idea che i paragoni tra giocatori di epoca diverse siano inadeguati: ma non pretendiamo che tutti siano d’accordo con noi, ci mancherebbe.
Ritiratosi dal calcio giocato addirittura nel 1980, anche se, di fatto, la sua carriera ai vertici terminò nel 1973, con l’addio allo United, il giocatore non ebbe una grande fortuna come allenatore, ma ricevette numerosi riconoscimenti dopo il suo ritiro dal calcio, anche dalla Corona, nel 1994, quando gli venne assegnato l’Eccellentissimo Ordine dell’Impero Britannico (in lingua originale The Most Excellent Order of the British Empire), onorificenza tra le più importanti del Regno Unito. Colpito da una forma di demenza senile nel 2020, non ha più avuto presenze pubbliche. Non l’abbiamo mai visto giocare dal vivo: ma certi nomi restano nella memoria degli appassionati, e la sua dipartita non poteva certamente lasciarci indifferenti.