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Giovanni Lodetti, la classe operaia in Paradiso

Non siamo riusciti a vedere Giovanni Lodetti giocare in maglia rossonera: quando iniziammo ad andare allo stadio era già passato alla Sampdoria. Dal momento, però, che a San Siro veniva applaudito, nonostante giocasse per la squadra avversaria, chiedemmo il perché a nostro padre, che fu prodigo di particolari sul passato nel Milan di quello che qualcuno, ai tempi, aveva definito “Il terzo polmone di Rivera.”

Lodetti apparteneva a una categoria di atleti figli della propria epoca, vale a dire quando si arrivava al calcio professionistico rubando il tempo per gli allenamenti ai campi o, nel suo caso, alla fabbrica. Il futuro centrocampista del Milan e della Nazionale era nato a Caselle Lurani, ai tempi ancora in provincia di Milano, il 10 agosto del 1942. Figlio di un falegname e di una casalinga, aveva infatti iniziato a lavorare in un’azienda meccanica a soli 14 anni.

Di questa esperienza aveva parlato in numerose occasioni. Una volta disse che, se gli avessero consentito di allenare i ragazzi del Milan, li avrebbe portati, un mattino presto, in metropolitana, a vedere i pendolari che si affannavano per arrivare in orario al lavoro, per fargli capire che i loro sacrifici di atleti non erano certo inferiori a quelli di chi, ogni giorno, si reca sul posto di lavoro per guadagnarsi da vivere. C’è da dire che, alcuni anni fa, Paolo Tramezzani, ai tempi allenatore del FC Lugano, uomo curioso, che legge e che s’informa (tra gli altri titoli, possiede anche il tesserino dell’ordine dei giornalisti), fece qualcosa del genere con la prima squadra: ma questa è un’altra storia.

Calcisticamente, Giovanni Lodetti avrebbe potuto essere il protagonista di una celebre canzone di Luciano Ligabue, il quale invece, essendo tifoso interista, la dedicò a Gabriele Oriali. La loro parabola da giocatori fu molto simile, anche se, a livello di club, il mediano rossonero vinse molto di più: una Coppa intercontinentale, 2 Coppe campioni, 2 scudetti, una Coppa delle Coppe, una Coppa Italia. In azzurro, invece, l’interista divenne campione del mondo nel 1982, mentre il milanista dovette accontentarsi “solo” dell’Europeo nel 1968. 17 le presenze di Lodetti in Nazionale maggiore, dove andò a segno 2 volte.

Di questo centrocampista ci è sempre piaciuta la franchezza, unita alla capacità di andare, quando necessario, anche contro il pensiero comune. Di Nereo Rocco, per esempio, ricordava non solo la grandezza come allenatore e come uomo, ma un torto subito, nel 1970, quando venne escluso dalla spedizione messicana a favore di Prati, che andò in Sudamerica nonostante una caviglia malconcia (che ne limitò l’utilizzo), in sostituzione di Anastasi infortunato. In quell’estate Giovanni Lodetti fu ceduto alla Sampdoria: il Milan aveva puntato Romeo Benetti e, in quell’ambito, era meglio che il mediano rossonero non avesse una vetrina internazionale di prestigio. E il Paròn non fiatò in sua difesa, in entrambi i casi.

Un’operazione di mercato, dunque: peccato che nessuno avvertì in anticipo l’esperto centrocampista originario del lodigiano. Lasciare il Milan significava essere fuori dal giro che conta: ma il giocatore, nonostante la comprensibile delusione, onorò la nuova maglia, tanto da meritarsi la fascia di capitano e il titolo di calciatore blucerchiato dell’anno, su votazione dei tifosi.

Giovanni Lodetti, a Genova, prese il patentino da allenatore. Avrebbe voluto farlo coi ragazzi del Milan, come abbiamo scritto sopra: ma Gianni Rivera, allora dirigente, non riuscì (o non volle, secondo la versione dell’ex compagno di squadra) appoggiarne la candidatura. Il posto andò a Ferrario, e Lodetti non volle più parlare con l’ex Golden boy: si ritrovarono solo dopo trent’anni, per un’iniziativa dedicata a Giacomo Bulgarelli.

Il resto, oltre a una discreta carriera come apprezzato commentatore in varie televisioni locali lombarde, è una storia che sconfina nella leggenda, anche se l’ex mediano del Milan di Rocco l’ha confermata tante volte. Anni ’80: Giovanni Lodetti sta correndo al parco di Trenno, all’ombra dello stadio di San Siro. Alcuni giovani si stanno sfidando in una partitella. Lodetti chiede di giocare: ha visto che una squadra è in 10, e sotto di 3 gol. I ragazzi sono riluttanti: che c’entri con noi, che siamo tutti giovani? Però accettano: lui si guadagna il rispetto di tutti, e viene invitato alla partita del sabato successivo, e così per le settimane che seguono.

A chi gli chiede come si chiama, non rivela la sua vera identità, e alla moglie racconta che va a giocare a tennis. La commedia va avanti un bel po’, fin quando passa un tizio coi capelli bianchi, che dice ai ragazzi: “Uè, nani, lo sapete chi l’è chel lì? L’è vun del Milan, da giovane ha cancellato Bobby Charlton.” Il gruppo lo tenne comunque con sé a giocare fino al 2007, quando un infortunio serio lo convinse che non era più il caso.

Addio, quindi, a Giovanni Lodetti: se ne va il mediano per antonomasia, perché Lele Oriali, in fondo, è venuto dopo. Purtroppo per lui, Basleta non ispirò a Enzo Jannacci una canzone per renderlo immortale. Ma a noi piace pensare che, in un posto che nessuno conosce, abbia incontrato Nereo Rocco, e si siano detti quelle parole che non si avevano avuto occasione di pronunciare in vita: per il giocatore era un grande rimpianto.

Non sappiamo neppure se avrebbe apprezzato il titolo di oggi apparso sulla Gazzetta dello Sport: Giovanni Lodetti sapeva di essere un gregario, magari indispensabile perché i fuoriclasse, cioè quelli che fanno la differenza, devono avere al proprio fianco giocatori che fanno legna. Una squadra di tutti Lodetti, insomma, non faceva parte della sua idea di calcio, al netto del fatto che i coccodrilli non facevano al caso suo, che non aveva paura di dire cosa ne pensava anche di chi non c’è più. Peccato che chi riteneva, in questo modo, di omaggiarlo, senza però conoscerne la storia e non avendolo probabilmente mai visto giocare, non lo abbia capito. Secondo noi, ovviamente.