Nei giorni scorsi è scomparso a 82 anni un grande personaggio del calcio olandese, quello accecante degli anni Settanta, che cambiò la vita a una generazione di giocatori: il portiere Jan Jongbloed. Una storia diversa, intrisa di tante cose, che merita di essere raccontata.
Quando diventi famoso per caso, perché ti trovi nel posto giusto al momento giusto e aggiungi dei dettagli eccentrici alla tua presenza, non ti fai tante domande. Vivi, al massimo, e basta. Jongbloed non faceva parte del circuito delle grandi del calcio olandese – Ajax, Feijenoord e PSV – ma divenne il portiere titolare della Nazionale arancione di Rinus Michels che può essere descritta come la perdente di maggior successo della storia. Maglia gialla, numero 8 sulla schiena, mani senza guanti, ginocchia fasciate di bianco e grande feeling con il pallone tra i piedi da vero libero aggiunto: non poteva passare inosservato! Vi chiederete se, oltre a tutto questo, sia stato un buon portiere. Non certo dallo stile pulito, però efficace.
Nato ad Amsterdam il 25 novembre 1940, mentre la città è occupata dai nazisti, inizia la sua parabola nel calcio tra i pali del DWS. Ci sarebbe rimasto fino al 1977, con il club che nel frattempo ha cambiato nome in FC Amsterdam. Uniche gioie, la vittoria dell’Eredivisie 1962-63 e il debutto in Nazionale nel 1962 contro la Danimarca. Poi, il suo nome torna prepotentemente alla ribalta in modo inatteso. Rinus Michels, ct dell’Olanda prossima alla fase finale del Mondiale ’74, era in emergenza tra i pali: van Beveren era reduce da una stagione a mezzo servizio nel PSV, Schrijvers si era infortunato. In questa situazione d’emergenza, Jongbloed fu bravo a conquistare la fiducia del selezionatore. E così, con la sola presenza di 12 anni prima alle spalle (e lo status di dilettante, gestiva infatti una tabaccheria), si trovò a disputare una Coppa del Mondo da titolare. Quell’Olanda incantò tutti cadendo solo in finale contro la Germania Ovest, e il nostro divenne popolarissimo.
E pensare che aveva già 34 anni all’epoca. Lasciò la maglia di titolare ai colleghi citati nel biennio seguente, prendendo parte all’Europeo del ’76 ma come riserva. Poi, in avvicinamento al Mundial argentino del 1978, ritorna tra i pali e partecipa alla seconda cavalcata iridata senza successo dell’Olanda ancora battuta in finale. L’ultimo atto contro l’Argentina chiude la sua carriera internazionale con 24 presenze, di cui la metà esatta ai Mondiali. Il portierone di Amsterdam però non si ferma e continua a giocare: un anno prima era passato al Roda e sarebbe poi andato al Go Ahead Eagles.
Mentre difende i colori della squadra di Deventer, prova un dolore terribile. Nel 1984, il figlio 21enne Erik – che ne aveva seguito le orme tra i pali del DWS – muore in campo dopo essere stato colpito da un fulmine. Jan va avanti, prosegue ancora nella carriera finché il suo cuore provato lo tradisce due anni più tardi: riesce a sopravvivere all’attacco cardiaco sopraggiunto nel match contro l’Haarlem, però deve ritirarsi. Resta nel calcio per tanti anni nello staff tecnico del Vitesse, come assistente, lavorando poi nel vivaio della società fino alla pensione. Due volte si è sposato, altrettante ha divorziato.
Nel 2019 era uscita la sua autobiografia, curata da Yoeri Van den Busken, dal titolo “Jan Jongbloed – Aparteling” (Separazione, LINK). Gravemente malato da tempo, l’ex portiere ha lasciato questa terra il 30 agosto all’età di 82 anni.