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Pallone in Soffitta – Aleksandar Arangelovic, profugo di Serie A

1947. Un calciatore jugoslavo approfitta di un’amichevole della sua squadra a Trieste per chiedere asilo politico all’Italia: storia di Aleksandar Arangelovic, profugo di Serie A.

Nato a Belgrado il 18 dicembre 1922, ha però radici più a sud: il padre Rista, costruttore edile, è infatti originario di Crna Trava. Non solo, è un delegato del Partito Democratico.

Quando Aleksandar Arangelovic fa parte di una delle principali squadre jugoslave, la Stella Rossa, si è già disimpegnato come attaccante in contesti non di primo piano come Jedinstvo, Prva Armija, Metalac e Student, senza mai lasciare Belgrado. Un giocatore onesto: non è una delle stelle della rosa. Nel marzo 1947 si reca a Trieste con la Crvena Zvezda, per disputare un’amichevole.

Un pensiero precedente? Un piano già programmato o l’intuizione dell’ultimo momento? No, il desiderio di una vita migliore: capirete fra poco il discorso. In patria, il padre si era dichiarato contrario a Tito e in quattro e quattr’otto la porta di casa Arangelovic era stata sigillata. Aveva provato a fuggire in precedenza lungo il confine, insieme al pugile Milos Lazarevic, ma tutto era sfumato. Quindi, stavolta, Aleksandar vede nell’Italia la chance per non tornare più indietro e chiedere asilo politico. La svolta si compie.

A fine aprile disputa una gara non ufficiale con la maglia del Milan contro il Como: non ci sarebbe stato però alcun seguito, a causa del veto della Federcalcio jugoslava. A Milano, il benestante “Aran” scopre la musica classica e inizia a frequentare il Teatro alla Scala. Diventa amico del celebre tenore Beniamino Gigli. Il calciatore alla fine lascia la Lombardia e riesce ad accasarsi al Padova, che milita in cadetteria.

Disputa una manciata di partite a inizio torneo, segnando 3 gol, affiancando il campione del mondo ’38 Gino Colaussi. Poi, nella stagione 1948-49 debutta in Serie A alla prima di campionato, il 19 settembre 1948, contro il Genoa. Sulle spalle il numero 8 e negli occhi un’esperienza terribile. I patavini perdono per 7-1 a Marassi. Quella, inspiegabilmente, sarebbe rimasta l’unica presenza nel Padova in A e l’ultima volta con i biancoscudati.

Con la maglia del Novara

 

 

 

 

 

 

 

 

Il rapporto tra lo jugoslavo e il Padova non finì nel migliore dei modi. La società “dimenticò” di inserire il suo nome nelle liste di trasferimento e Arangelovic fece ricorso, vincendolo. Per lui va decisamente meglio con i colori della Roma: 20 partite e 11 gol nel campionato 1949-50, di cui 4 dal dischetto e con 4 doppiette all’attivo contro Atalanta, Lucchese, Venezia e Palermo. E un contratto fisso da 50.000 dollari. In Italia, come detto, si appassiona all’opera (l’Aida di Verdi è la sua preferita, a cui assiste oltre un centinaio di volte) e al patrimonio artistico. Ha affermato di essere stato a letto con 2.500 donne. Il suo destino è quindi quello di non stare fermo e perciò, nonostante in giallorosso sia riuscito a farsi apprezzare, cambia di nuovo squadra. Si trasferisce al Novara, 26 partite e 9 gol: giocando con chi? Ironia della sorte, con un altro campione del mondo 1938 come Silvio Piola. Nel 1951 lascia l’Italia per accasarsi in Francia al Racing Club Paris e infine in Spagna all’Atlético Madrid dove letteralmente “fugge” di nuovo, perché la gestione di Helenio Herrera non gli è congeniale.

Conclude il percorso da atleta in Canada, Paese in cui inizia ad allenare. Poi in Australia. Le notizie che lo riguardano si perdono tra un continente e l’altro. Le tracce conducono fino a Hong Kong e Vietnam. In Australia viene truffato da due soci serbi nel settore minerario. Rientrato in Jugoslavia nel 1963 dopo l’amnistia di Tito, ha lavorato come guida turistica per l’agenzia di viaggi Centroturist, mettendo a frutto la conoscenza di 5 lingue (inglese, francese, italiano, spagnolo e tedesco). È scomparso l’8 settembre 1999, nella sua casa di Belgrado, 3 mesi prima di compiere 79 anni.

(Fonti: strategija.org / beforeafter.rs / vijesti.me)