Roberto Chery era un portiere di sicuro avvenire. Nel 1916, a vent’anni, debuttò con la maglia del Peñarol contro gli argentini del Rosario Central destando subito un’ottima impressione. Tra i pali era completamente a suo agio e sembrava che fosse molto più esperto di quanto dicesse la sua effettiva età. Nel secondo match, giocato contro il River Plate, i suoi compagni lo alzarono addirittura sulle proprie spalle per portarlo in trionfo. Il futuro non poteva che essere suo.
A notarlo e a portarlo al Peñarol era stato, un anno prima, lo scopritore di talenti Roberto Catrufo, che lavorava a stretto contatto con la società giallonera. Inizialmente Chery venne inserito nella rosa della terza squadra e vinse subito il campionato. Venne soprannominato “El poeta” perché aveva dedicato una poesia alla sua squadra, che cominciava con la frase “Oh Peñarol, yo te saludo…”. Elegante nei movimenti, possedeva un fisico muscoloso e mani grandi che gli permettevano di farsi rispettare e trattenere il pallone senza troppi patemi. Le cronache dell’epoca non lesinavano sperticati elogi per un portiere che sembrava potesse diventare il migliore nel suo ruolo, anche a livello di Nazionale.
E in effetti la chiamata del commissario tecnico de La Celeste Severino Castillo arrivò tre anni dopo il suo debutto in prima squadra. Chery era ormai un portiere affidabilissimo, a tratti insuperabile. Tant’è che l’unica sconfitta del suo Peñarol era arrivata contro gli storici rivali del Nacional a causa di un calcio di rigore realizzato da Carlos Scarone. Roberto partecipò così al Campeonato Sudamericano de Futbol (l’attuale Copa America) del 1919. Sembrava che fosse la riserva designata, dietro al titolare Cayetano Saporiti, ma il 17 maggio il ct lo schierò nella seconda partita contro il Cile. Euforico per l’imminente debutto in Nazionale, Roberto non sapeva che proprio quella partita avrebbe messo fine alla sua giovane vita.
Come dicevamo, il titolare inamovibile della Seleccion uruguaiana era Cayetano Saporiti, trentaduenne estremo difensore degli Wanderers. Era forte ed esperto, ma aveva un punto debole, il caldo. E il clima infernale di Rio de Janeiro non faceva per lui. Così decise di lasciare il posto al suo giovane collega, regalandogli il palcoscenico che probabilmente meritava. Chery non si fece prendere dall’emozione. L’Uruguay vinse per 2-0 (reti di Perez e Scarone) ma fu grazie alle parate dell’esordiente che la porta rimase inviolata.
Purtroppo in uno di questi episodi si fece male seriamente. Sugli sviluppi di un calcio d’angolo Chery cadde rovinosamente a terra dopo aver respinto il pallone. Sembrava un normale scontro di gioco, ma ci si rese subito conto che la situazione era più seria del previsto. Chery non si rialzava e venne soccorso dai sanitari, che lo portarono via in barella. Quel giorno cominciò una lenta agonia, terminata tredici giorni più tardi con la sua morte prematura. Era il 30 maggio 1919 e la causa del decesso fu dichiarata lo strozzamento di un’ernia.
La morte di Chery scosse profondamente tutti. Avvenne il giorno dopo la disputa della finalissima, terminata con la vittoria del Brasile proprio contro l’Uruguay. La Federazione decise di istituire un trofeo, intitolato al compianto portiere, per aiutare economicamente la famiglia. Tuttavia gli uruguaiani, scossi dalla tragedia che li aveva colpiti, disertarono l’incontro che si disputò il 1 giugno 1919 tra Brasile e Argentina.
Le due squadre vestirono le casacche delle squadre in cui aveva militato: i brasiliani quella giallonera del Peñarol, gli argentini quella celeste dell’Uruguay. Il match terminò con il punteggio di 3-3 e il trofeo venne assegnato, simbolicamente, al Peñarol.