Casale Monferrato aveva già conosciuto il calcio. Senza troppa fortuna, perché la prima squadra fondata in città, la Robur, era durata solo due anni. Alcuni studenti dell’Istituto tecnico Leardi, però, non si erano dati per vinti. Un giorno erano riusciti a convincere il loro professore di scienze ad accompagnarli a Caresana, un piccolo comune nel vercellese distante pochi chilometri da Casale, a vedere una partita di calcio. Raffaele Jeffe era un insegnante di origini ebraiche che dalla città di Asti si era spostato in periferia. Per lui quell’incontro fu come una folgorazione: si entusiasmò talmente tanto che decise che avrebbe condotto in prima persona l’iter per la fondazione della nuova compagine cittadina.
L’intenzione del professore non c’era solamente quello di riportare il calcio a Casale. Ma un obiettivo ben più ambizioso: quello di creare una società solida che potesse concorrere con i rivali storici della Pro Vercelli. Per questo, al momento di scegliere i colori sociali, Jaffe optò per il nero, in aperto contrasto con il bianco dei vercellesi. E sul petto venne cucita una stella rossa a cinque punte. I suoi studenti vennero coinvolti nel progetto, in particolare Barbesino, Rosa, Gallina e Bertinetti che si sarebbero rivelati i più forti della squadra. Il 17 dicembre 1909, in seguito a un’assemblea organizzata presso la aula 1 dell’Istituto Tecnico Leardi, venne ufficializzata la nascita del Casale Foot Ball Club.
In quel periodo il nord-ovest era una zona particolarmente fiorente per ciò che riguardava il calcio. Oltre alla già citata Pro Vercelli, a dettare legge c’erano il Genoa, vincitore di sei scudetti, la Juventus, il Milan e l’Inter. Il Casale riuscì, in maniera del tutto sorprendente, a ribaltare i favori del pronostico e a diventare, in pochi anni, una protagonista del campionato italiano. Jaffe si mise all’opera per organizzare una squadra completa: oltre ai già citati studenti che rappresentavano l’ossatura della formazione, il Casale poteva contare anche su Luigi Cavasonza, uno dei soci fondatori e ideatore della stella rossa sul petto. Non c’era un vero e proprio allenatore: era il capitano Barbesino a fare la formazione.
Nel 1911 il Casale era già in Prima Categoria. L’esordio non fu dei più semplici, ma con il passare del tempo la squadra cominciò a prendere maggiore confidenza con le difficoltà del campionato. Concluse la stagione con un buon sesto posto. L’anno successivo fu quello della consacrazione, perché i nerostellati riuscirono a chiudere al secondo posto il girone piemontese, dietro soltanto alla Pro Vercelli, ottenendo la qualificazione al girone finale dell’Italia settentrionale. Si distinsero anche a livello nazionale, vista la quarta posizione finale – dietro alla Pro Vercelli campione, al Genoa e al Milan. La squadra era in evidente crescita e mandò un segnale ben preciso il 14 maggio 1913, quando divenne la prima e unica formazione italiana a battere una inglese, il Reading (2-1), che si trovava nella Penisola per una serie di amichevoli di prestigio. Risultato avvalorato dal fatto che gli inglesi avevano sconfitto le altre big del campionato.
La squadra era ormai consapevole dei propri mezzi. Forse non aveva l’esperienza delle compagini più blasonate, ma aveva tanta costanza di rendimento. Il Casale superò agevolmente il girone ligure-piemontese, riuscendo a eliminare gli storici rivali della Pro Vercelli, che rimasero incredibilmente fuori dalle migliori dopo tre titoli consecutivi e cinque complessivi. La formazione tipo era la seguente: Gallina I in porta, Maggiani e Scrivano terzini, Parodi, Barbesino e Rosa mediani, Caire, Mattea, Gallina II, Varese e Bertinotti attaccanti.
Nel girone finale dell’Italia Settentrionale il Casale riuscì a superare il Genoa, l’Inter, la Juventus, il Vicenza e l’Hellas Verona e si qualificò per la finalissima nazionale contro la Lazio, vincitrice del campionato dell’Italia centromeridionale. Non ci fu storia: al roboante 7-1 dell’andata si aggiunse il 2-0 del ritorno e il Casale festeggiò così il suo primo e unico scudetto della sua storia. Fu un bagliore momentaneo, perché il Casale non riuscì mai più a ripetersi.
Raffaele Jaffe, l’uomo che si era speso in prima persona per fondare il club, si era defilato quasi subito. Nel 1911, pur rimanendo in seno alla società come dirigente, aveva lasciato la presidenza a Oreste Simonotti. E nel 1919 aveva abbandonato completamente la società. Qualche anno più tardi, nel 1927, sposò una ragazza cattolica e si convertì dall’ebraismo al cattolicesimo. Nel ’37 venne anche battezzato, ma ciò non gli evitò la persecuzione da parte del partito fascista, che l’anno successivo aveva promosso le leggi razziali. Venne arrestato il 16 febbraio 1944 e internato nel campo di Fossoli. I cinque mesi passati lì sembravano di buon auspicio: essendosi convertito al cattolicesimo secondo la legge italiana non poteva essere inviato nei campi di concentramento.
Ma purtroppo le cose precipitarono. Il 2 agosto venne messo su un treno per Auschwitz e da lì non fece più ritorno. Il giorno stesso del suo arrivo trovò la morte: era il 6 agosto 1944. A Casale, naturalmente, il professor Jaffe è ricordato ancora con grande affetto. A lui sono dedicati i giardini pubblici della città. Non verrà mai dimenticato il suo entusiasmo e il suo sforzo nel fondare una squadra di calcio che sarebbe entrata nella storia.