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I Pionieri del Calcio – Una nuova era: i primi movimenti di calciomercato

Nel settembre 1893 il Derby County propose alla Football League di imporre un tetto massimo – quattro sterline a settimana – al salario dei calciatori. A quel tempo la maggior parte di essi non erano ancora professionisti a tempo pieno. Per questo motivo non erano minacciati da tale richiesta, visto che il loro stipendio era più basso. Tuttavia c’era una minoranza, composta dai calciatori più bravi, che guadagnava fino a dieci sterline e non vedeva di buon occhio questa limitazione. La proposta non venne presa in considerazione, ma la Football Association si rese conto della necessità di tenere sotto controllo il movimento dei giocatori professionisti.

Come poterlo mettere in pratica? Intanto introdusse una regola che obbligava i calciatori a registrarsi annualmente all’associazione e vietava loro di cambiare squadra durante la stagione senza il suo benestare. Su questa scia la Football League decise che qualsiasi giocatore professionista che desiderasse trasferirsi in un altro club doveva ottenere il permesso del suo attuale club. Pertanto, se il calciatore in questione di rifiutava di firmare un nuovo contratto all’inizio della stagione non poteva firmare per nessun altro a meno che la squadra di appartenenza non fosse d’accordo.

Queste norme, entrate in vigore per frenare l’interscambio dei calciatori, finirono per incentivare gli affari tra i club. I proprietari più ricchi capirono che, grazie ai loro soldi, avrebbero potuto acquistare chiunque. Stava per nascere, seppur in via ancora embrionale rispetto a come la intendiamo oggi, la definizione di “calciomercato”. Tutti erano in vendita, tutti avevano un prezzo. Il primo movimento di mercato riguardò Jack Southworth, prolifico attaccante del Blackburn Rovers che nel 1893 passò all’Everton per 400 £, una cifra considerevole. Negli anni a seguire altri club seguirono l’esempio dell’Everton. Lo Sheffield United e il Sunderland, ad esempio furono al centro dell’affare-Common. Mentre il Manchester United nel 1904 pagò 600 £ al Grimsby Town per avere il promettente 21enne Charlie Roberts.

Nel 1908 la Football League decise di porre un limite al costo dei giocatori. Le squadre non avrebbero potuto spendere più di 350 sterline. Ma la norma era facilmente aggirabile. I club, infatti, si accordavano per cedere o acquistare più di un calciatore: assieme al “fuoriclasse” di turno, finivano nell’affare altri due calciatori con valutazioni scadenti. In questo modo ciascun calciatore sarebbe costato 350 £, per un costo totale di 1.050. Sfruttando questo escamotage il Manchester United prelevò Harold Halse, che con il Southend United aveva realizzato 91 gol in 64 partite. La Football League, vista l’inutilità della norma, la abrogò dopo appena un anno.

Nel 1911 il Sunderland pagò un prezzo record (1.200 £) per Charlie Buchan, emulato dall’Everton che acquistò il difensore Robert Young dal Middlesbrough per la stessa cifra. Ma furono superati dall’ambizioso presidente del Blackburn Rovers, Lawrence Cotton, che si spinse a spendere 1.800 £ per assicurarsi le prestazioni di Jock Simpson dal Falkirk. La mossa si rivelò vincente perché i Rovers vinsero il campionato. L’anno successivo, viste le difficoltà nel ripetere il successo, a Cotton non rimase che pagare ben 2.000 £ per Danny Shea del West Ham.

Più passavano le stagioni, più i club spendevano. E facevano registrare trasferimenti record. Fino al termine del periodo bellico gli acquisti più onerosi (2.500 £) rimasero quelli di Percy Dawson – passato dalla formazione scozzese del Heart of Midlothian al Blackburn Rovers – e di Horace Barnes – dal Derby County al Manchester City. Noccioline, di fronte agli affari Puddefoot (acquistato dal Falrkirk per 5.000 £) e Gallacher (finito al Newcastle per 6.500 £). Il calcio si avviava verso una nuova era: quella del calciomercato.