In morte di Pelé (1940-2022): il calcio dell’amore, della bellezza
In memoria di Edson Arantes do Nascimento “Pelé” (1940-2022)
C’era una volta un bambino, nato in un paese dal curioso nome: Tres Coraçoes, “Tre Cuori”. Il pallone girava già nella modesta casa della sua famiglia, onorato da papà Dondinho che lo aveva preso a calci a buoni livelli. Il piccolo Edson ci sapeva fare. La sua classe? Un concentrato unico: il talento baciato dalla grazia.
Bianco e nero, verde e oro. Il Santos e il Brasile portati ai vertici del mondo, da un campione meraviglioso. E pensare che la commissione medica della Nazionale avrebbe voluto escluderlo dalla Rimet ’58, insieme a un certo Mané Garrincha. Cosa non avremmo potuto raccontare, senza di loro…
Tre campionati del mondo vinti, come nessuno prima e nessuno riuscirà a fare in futuro come calciatore. Tre Cuori, appunto, appuntati sull’anima gioiosa di una Nazione intera. Dalla Svezia al Cile, fino in Messico. Edson Arantes do Nascimento, in arte Pelé, ha portato il gioco del calcio a un livello superiore. Quello dell’amore, della bellezza, della pace dei sensi.
Il primo calciatore, a livello planetario, capace peraltro di diventare industria. Naturale che gli States abbiano cercato di lanciare il soccer facendogli ponti d’oro. Il miracolo Cosmos fu breve, così come l’esperimento NASL. Eppure, sebbene in là con gli anni, il suo nome trascinò la gente negli stadi. Garanzia di successo.
Perché il popolo, ed è sempre stato così, pagava il biglietto perché c’era lui. Inutile girarci intorno, per buona pace dei pur bravi compagni di squadra che lui migliorò con la sua classe immensa. I ruoli ricoperti da Pelé attorno al gioco del pallone sono stati innumerevoli. Alla fine della fiera, ne è stato l’ambasciatore più iconico. Ricorderemo con tenerezza i suoi video su Instagram dove, superati gli 80 anni, continuava a spargere amore e sorrisi nonostante la salute in declino. Fino a poco tempo fa.
Quel fisico bello e statuario, petto nudo e braccio alzato al cielo, passato all’immaginario collettivo dopo la finale della Rimet ’70. Lì, portato in trionfo quel giorno all’Azteca, il fuoriclasse assurse a leggenda. Per buona pace di noi italiani e di Tarcisio Burgnich, che invano cercò di contrastarne lo slancio maestoso sul primo gol verdeoro. Ora si ritroveranno lassù, e magari si abbracceranno.
Di sicuro, Pelé ritroverà Garrincha. E gli dirà:
“Mané, guarda cosa abbiamo fatto. Abbiamo regalato la felicità al nostro popolo. Cosa desiderare di più bello?“.
“Sai, però anche io come te avrei voluto rifare il mio dribbling al cinema, come hai fatto tu con quella epica rovesciata in ‘Fuga per la Vittoria’. Quanti dollari ti hanno dato? Scherzi a parte, Edson… Avrei voluto che fossi eterno“.
Lo sarà.