La morte di Sinisa Mihajlovic è la notizia che tutti gli appassionati di pallone non avrebbero voluto ricevere. La malattia si è presa uno degli protagonisti più carismatici del calcio italiano, la cui parabola desideriamo ricordare con ammirazione sportiva e umana.
Nato a Vukovar il 20 febbraio 1969 da madre croata e padre serbo, Sinisa Mihajlovic scopre il pallone in tenera età e una dote che ne marchierà la carriera calcistica: un sinistro formidabile, grazie al quale riesce ad imprimere traiettorie potenti e precise. Non solo, diventerà pure oggetto di studi. La sua prima squadra è il Borovo, alle porte di Vukovar. Il debutto con i “grandi” avviene nella stagione 1986-87, poi dopo un’altra annata viene acquistato dal Vojvodina. Il suo mancino comincia a diventare noto nel calcio jugoslavo, finché nel 1990 passa alla Stella Rossa (foto in basso) e arriva la consacrazione dopo aver conquistato il campionato.
Sinisa fa parte di quella incredibile generazione di talento che colora la storia della Crvena Zvezda: nel 1991 è l’anno della svolta per il club biancorosso e per il giocatore. Arrivano Coppa dei Campioni e Coppa Intercontinentale, traguardi clamorosi mai raggiunti prima dal calcio jugoslavo. Per il ragazzo arriva anche l’esordio in Nazionale, in “quella” Jugoslavia pronta a stupire il Continente agli Europei di Svezia ’92. Una squadra imbarazzante per quantità e qualità del talento che porta con sé: Savicevic, Stojkovic, Prosinecki, Jugovic, Pancev, Mijatovic, Suker, Boban, Jokanovic, Jarni… Quasi tutti poi arriveranno in Italia, dove vivranno carriere molto differenti.
Tra loro, proprio Mihajlovic vive l’avventura più ricca e longeva nel calcio nostrano. Veste le maglie di Roma, Sampdoria, Lazio e Inter, cambiando ruolo da tornante di fascia sinistra a centrale difensivo. Con quella caratteristica che lo rende sempre e comunque temibile: i calci di punizione (foto in basso, l’inconfondibile esecuzione in maglia blucerchiata). In Serie A, le sue 28 reti rappresentano tuttora un primato. Indimenticabili rincorsa e tipo di calcio, per una traiettoria tesa e curvata che nella maggior parte delle volte risultava fatale ai portieri avversari. Memorabile la tripletta “piazzata” alla Samp nel dicembre ’98. 14 le stagioni disputate nel massimo campionato, fino al 2006.
Da giocatore ha vinto tutti i trofei nazionali ed internazionali, ad esclusione della Coppa UEFA. Ha vestito la maglia della Jugoslavia unificata nel 1991 (4 presenze), quella della Repubblica Federale di Jugoslavia (58 gare con 10 reti) e infine della Serbia e Montenegro (una sola apparizione), con la partecipazione al Mondiale 1998 e a Euro 2000. La parabola di allenatore, a livello di club, si svolge quasi totalmente in Italia. In mezzo la panchina della Serbia, che non riesce a qualificare per i Mondiali 2014.
Le società allenate da Mihajlovic sono state Bologna, Catania, Fiorentina, Sampdoria, Milan, Torino, Sporting Lisbona (un incredibile “matrimonio non consumato”: esonero prima dell’inizio del campionato dopo appena 9 giorni) e nuovamente Bologna, dove quindi si è aperto e chiuso il cerchio della sua seconda parabola calcistica. Il 13 luglio 2019 annuncia in conferenza stampa di aver intrapreso la battaglia contro la leucemia. Un combattimento fiero, coraggioso. In cui non si vergogna mai delle sue condizioni e affronta di petto la situazione in pubblico. Lascia la squadra e poi ritorna, tra l’ammirazione del mondo del calcio che ne ha sempre riconosciuto la tempra autentica. Però il male non molla la presa. Il 6 settembre scorso, in seguito a un avvio accidentato del Bologna, viene sollevato dall’incarico. Oggi, il tragico annuncio della sua scomparsa, ad appena 53 anni.
Addio Sinisa, fragile acciaio.