Primo Piano

Dopo Scarponi, Rebellin

20 luglio 1992. Le prime pagine di tutti i quotidiani italiani e i titoli dei primi tg nazionali avevano una sola e unica dicitura in evidenza: “Dopo Falcone, Borsellino“. Questo perché il giorno prima a Palermo il giudice Paolo Borsellino e i componenti della sua scorta perirono in un attentato mafioso in via D’Amelio, quasi due mesi dopo l’analogo evento sempre di stampo mafioso che allo svincolo di Capaci dell’autostrada che conduce l’aeroporto di Punta Raisi al capoluogo siciliano costarono la vita al magistrato Giovanni Falcone, alla moglie Francesca Morvillo e agli uomini della scorta.

1 dicembre 2022. Vero, è un azzardo paragonare la lotta alla mafia e alla criminalità organizzata con la sicurezza stradale. Ma neanche così tanto. Perché evitare le morti che possono e debbono essere evitate dovrebbe essere compito civico di ogni cittadino in qualunque campo della vita sociale. Quindi – anche per una straziante coincidenza fonetica – è spontanea l’associazione e viene naturale scrivere: “Dopo Scarponi, Rebellin“.

Così come Michele Scarponi perse la vita nella sua Filottrano il 22 aprile 2017 investito da un furgone che non aveva rispettato uno stop (con tragedia nella tragedia, l’autista scomparve l’anno dopo per un cancro), ieri Davide Rebellin è deceduto a Montebello Vicentino investito da un camion guidato da una persona che non si è fermato neanche a soccorrerlo.

Nonostante l’età di 51 anni, Rebellin aveva detto addio all’attività agonistica appena due mesi fa. Una carriera lunghissima divisa in due spezzoni. La prima parte dal 1992, esordio professionistico con la maglia della MG-Bianchi, fino al 2009. Nella quale ha collezionato un palmarès invidiabile. Spicca quella magica settimana del 2004, nella quale nel giro di sette giorni vinse l’Amstel Gold Race, la Freccia Vallone e poi la Liegi-Bastogne-Liegi. Poi da menzionare la Classica di San Sebastian e quella di Zurigo nel 1997, la Tre Valli Varesine nel 1998, di nuovo la Freccia Vallone sia nel 2007 che nel 2009 e la Parigi-Nizza nel 2008.

2008, anno dell’argento olimpico in quel di Pechino. Medaglia che gli venne tolta però l’anno dopo a causa della positività al CERA. Un errore (ma Rebellin contestò sempre quelle che definì “anomalie” del CIO nei controlli) che il veneto pagò con una squalifica di due anni. Rientrò nel 2011 con la Miche-Guerciotti e subito si impose nelle Tre Valli Varesine, mentre nel 2014 e nel 2015 si aggiudicò il Giro dell’Emilia e la Coppa Agostoni.

Da quell’anno in poi prosegue in squadre “minori”, tra cui l’italo-croata Meridiana-Kamen. Ottiene risultati in corse non di primissimo piano, ma nelle gare nazionali è sempre pronto a dar battaglia. A ottobre il ritiro dalle gare, ma non dalla sua passione. Ieri Rebellin poteva decidere liberamente di stare a casa o di dedicarsi ad altre faccende. Invece, ha inforcato la bicicletta come tanti semplici amatori fanno ogni giorno nel loro tempo libero. E come purtroppo quasi quotidianamente accade a diversi di loro, in sella alla bicicletta ha percorso l’ultima tappa della sua vita.

Queste le parole. Ora dovrebbe essere il turno dei fatti. Ciclisti e automobilisti dovrebbero smetterla di giocare a chi c’è l’ha più lungo, dovrebbero difendere sì i loro diritti ma dovrebbero altrettanto rispettare anche i loro doveri. Chi va su due ruote indossi il casco, metta le luci retrovisori al proprio mezzo, pedali in fila indiana, indossi un giubbino catarifrangente, eviti assolutamente di pedalare dal tramonto all’alba e in giornate nebbiose dove la visibilità è ridotta. Chi invece è seduto in un abitacolo conceda la distanza laterale obbligatoria di 1,5 m e, se vede ciclisti sulla strada, si dimentichi dell’acceleratore e si armi di sana pazienza.

Solo così le morti di Michele Scarponi, di Nicky Hayden (perito sempre in bicicletta nel 2017), di Davide Rebellin potrebbero non essere vane. Altrimenti, rimarrà solo una struggente sequela di coccodrilli. Ciao Davide!