Primo Piano

I Pionieri del Calcio – Harry Goodley, l’uomo delle maglie bianconere

Harry Goodley non vedeva l’ora di partire. Dopo averci riflettuto a lungo si era persuaso, avrebbe intrapreso quel viaggio che gli avrebbe cambiato la vita. Decidere di lasciare Nottingham non era stato facile. Ad attenderlo c’era un altro paese, un’altra cultura: nel suo futuro c’erano l’Italia e Torino. Ma aveva accettato con grande entusiasmo l’offerta di lavoro giuntagli dall’imprenditore tessile svizzero Alfred Dick, che in Piemonte aveva stabilito i suoi affari. D’altronde aveva appena venticinque anni ed era sempre stato di spirito avventuriero. L’ultimo viaggio a Boston per conto della Birkin, l’azienda per cui lavorava, gli aveva aperto definitivamente gli occhi. Il grande salto non lo spaventava.

Una richiesta inaspettata

Un concittadino di Goodley, Tom Gordon Savage, aveva già fatto quella scelta qualche anno prima. Si era trasferito a Torino e qui aveva stabilito la sua attività di commerciante di tessuti. Ma forte del suo passato calcistico in patria – aveva militato nel Nottingham Forest – il sabato si metteva a giocare a calcio, con alcuni connazionali, in Piazza d’Armi. Prima era entrato a far parte del Torino FCC, il club più antico della città; poi era passato alla Juventus, il cui presidente era proprio Alfred Dick. In breve tempo, oltre che un calciatore, era diventato un prezioso consigliere del presidente.

Così un giorno, quando suggerì di sostituire le vecchie casacche rosa, ormai logore, con un kit più professionale, la sua proposta venne accolta positivamente. Savage si mise in contatto con il negozio “Principe del Galles”, di proprietà del signor Jordan e sito in via Barbaroux a Nottingham. Era il posto in cui si rifornivano le maggiori squadre inglesi della zona e non sarebbe stato difficile farsi spedire una nuova fornitura di mute. L’idea iniziale di Savage era quella di acquistare la tenuta del Nottingham Forest: maglia rossa e pantaloncini bianchi.

Goodley stava finendo di preparare i bagagli quando ricevette l’inaspettato incarico. Da Torino lo aveva contattato il suo illustre concittadino Savage, che gli aveva chiesto di passare a ritirare le casacche e di portarle con sé. Era un onore, per lui, adempiere a quel compito. Non sapeva ancora che sarebbe entrato nella storia, anche se in maniera del tutto imprevedibile. Infatti il signor Jordan non disponeva, in quel momento, delle maglie rosse richieste. Le uniche tenute che aveva in magazzino erano quelle del Notts County, che erano a strisce bianco e nere. Quando i dirigenti juventini aprirono il pacco rimasero delusi dal suo contenuto. Non ne erano entusiasti ma decisero comunque di tenere quelle maglie bianconere che sarebbero diventate presto un segno distintivo.

Goodley diventa uno dei pionieri del calcio italiano: gloria e sparizione

In realtà le doti calcistiche di Goodley non erano eccelse. Aveva militato in due squadre amatoriali, Basford Wanderers e i Notts Rangers ma bastava per poter giocare nella Juventus. Disputò la sua unica partita in bianconero nell’aprile 1903, in una amichevole contro il Club Athletique di Ginevra. Ma aveva una grande conoscenza delle regole del calcio: ciò gli permise di intraprendere, con grande successo, la carriera di arbitro, visto che allora ogni club era tenuto a fornire un direttore di gara. Fu lui a dirigere la prima storica partita della Nazionale Italiana contro la Francia, il 15 maggio 1910. Le sue doti indiscusse lo portarono ad avere sempre più credibilità in seno alla Federazione. In vista delle Olimpiadi del 1912 e di nuovo nel 1913, Goodley fu invitato a far parte del comitato di selezione tecnica della nazionale italiana.

Improvvisamente, però, Goodley decise di lasciare l’Italia. Nonostante avesse sposato una donna italiana, Erina Parigi, e da lei avesse avuto tre figli, il suo spirito di avventura tornò a stuzzicarlo. I suoi compagni alla Juventus decisero di fargli dono di un orologio d’oro, ma non ci fu mai l’occasione di poterglielo dare, visto anche lo scoppio della Prima Guerra Mondiale. Di lui si persero le tracce, si rafforzò la notizia che fosse caduto nel conflitto. I suoi amici, sconvolti, attaccarono un biglietto all’orologio con la scritta “Destinato a Mister Goodley, forse morto” e lo affidarono ai colleghi degli uffici della Gazzetta del Popolo, dove fu messo in un cassetto apparentemente dimenticato.

In realtà Goodley non era morto. Nel 1930 fece ritorno a Torino e poté raccontare la sua incredibile avventura. Si era recato a Pietrogrado (San Pietroburgo), ma a causa della Rivoluzione russa e della conseguente caduta dello zar, Goodley era rimasto intrappolato nel paese, riuscendo a tornare in Inghilterra solo dopo qualche mese. Poi era stato chiamato in servizio in Francia. Mentre narrava la sua storia qualcuno si ricordò dell’orologio custodito nel cassetto. Al ricevimento di quell’inaspettato regalo, Goodley si commosse e disse: “Quest’orologio mi ricorda i giorni più belli della mia vita”. Dopo questa sua breve visita a Torino, Harry tornò a Nottingham e fondò la Goodley Electric Jacquard Company, società che brevettava macchine per la produzione di merletti nel Regno Unito e negli Stati Uniti. Morì nel 1951 all’età di 72 anni.