Può un Mito avere origine da una lite con un altro Mito? Sì, se siamo nell’Emilia-Romagna degli anni Sessanta e Ferruccio Lamborghini, costruttore di macchine agricole, caldaie e condizionatori si reca a Maranello per lamentarsi con Enzo Ferrari di una trasmissione malandrina della sua Ferrari 250 GT. Lapidaria fu la risposta del Drake: “Lamborghini, lei costruisce trattori, cosa ne sa di automobili?“. Il buon Ferruccio non rispose a parole ma lo fece con i fatti, creando nel 1963 la Lamborghini Automobili a Sant’Agata Bolognese che in breve tempo divenne orgoglio e Mito italiano come la “sorellastra” di Maranello. E così, da allora, al Cavallino Rampante della Ferrari si contrappone il Toro della Lamborghini.
E da allora la rivalità tra “ferraristi” e “lamborghinisti” (perdonate il neologismo) incendia gli animi degli appassionati di automobili e di motor sport. Con pochi comuni denominatori. Tra i quali, un altro autentico Mito dell’automobilismo che purtroppo ieri ci ha lasciato all’età di 87 anni. Già, perché nel cuore di Mauro Forghieri hanno convissuto senza azzuffarsi sia il Cavallino Rampante che il Toro. Con risultati decisamente diversi, d’accordo. Ma sicuramente con la stessa autentica passione.
Forghieri entrò nel reparto corse Ferrari nel 1959 assieme a un altro Mito automobilistico, Gian Paolo Dallara e sotto le dirette dipendenze di un altro Mito (no, non stiamo abusando di questo vocabolo casomai ve lo stiate chiedendo), Carlo Chiti. Due anni dopo, con il licenziamento di quest’ultimo, Forghieri divenne responsabile del Reparto Tecnico per le corse. Ruolo che mantenne per ben 23 anni, con eccezione del 1972. Il palmarès? 54 Gran Premi vinti, 4 titoli mondiali piloti (Surtees 1964, Lauda 1975 e 1977, Scheckter 1979) e 3 costruttori. Grandi innovazioni (l’alettone nel 1968, il cambio trasversale e il motore “piatto” negli anni Settanta, i primi prototipi di cambio semiautomatico nel 1980) ma anche momenti duri (il Nurburgring e il Fuji di Lauda nel 1976 e il drammatico 1982 di Villeneuve e Pironi iniziato con il “tradimento” di Imola e proseguito con la tragedia di Zolder dove il canadese perse la vita e l’incidente di Hockenheim che stroncò la carriera del francese). E successi anche nel Mondiale Marche (ironia della sorte, domenica scorsa è stata presentata la Ferrari che sancisce il ritorno ufficiale del Cavallino nel Mondiale Endurance), ben sei.
Dopo la fine dell’avventura in Ferrari, Lee Iacocca, Presidente della Chrysler allora proprietaria della Lamborghini, volle Forghieri come responsabile della Lamborghini Engineering, la struttura con la quale il Toro entrò in Formula 1 da motorista, accanto a Daniele Audetto. Un’avventura durata quattro stagioni dal 1989 al 1993 con i motori Lamborghini che equipaggiarono Larrousse, Lotus, Ligier, Minardi e nel 1991 una vettura made in Lambo progettata proprio da Forghieri. I risultati non furono quelli sperati: solo un podio con Suzuki nel 1990 in Giappone e 0 punti con la Lambo, con il rimpianto di Van der Poele quinto a Imola e costretto al ritiro a due giri dalla fine per un errore nel carburante da inserire nella monoposto. E chissà cosa sarebbe accaduto se Forghieri fosse rimasto in Lamborghini nel 1993 (se ne andò l’anno prima) quando la McLaren si rimangiò la parola data (dopo aver anche avuto il placet di un certo Ayrton Senna) e scelse la motorizzazione Peugeot.
Terminata l’avventura in Lamborghini, Forghieri spese gli ultimi anni di carriera in Bugatti e in BMW, contribuendo al progetto poi abortito dell’esordio della scuderia bavarese in MotoGP. Poi il ritiro nella sua Modena. Forghieri, il Mito che mise d’accordo i due Miti. Sembra un titolo di un film. E’ stata pura realtà.