Pallone in Soffitta – La triste uscita di scena di Vittorio Pozzo
Mike Bongiorno, tra i volti più popolari della televisione italiana, vede partecipare come concorrente in una sua trasmissione nientemeno che Vittorio Pozzo: il glorioso Commissario Unico della Nazionale due volte iridata negli anni Trenta vuole vincere una somma da destinare ad alcuni suoi ex giocatori in difficoltà. Non ci riuscì, per una partecipazione che rappresentò la sua amara uscita dalla scena pubblica.
2 dicembre 1965. Mike Bongiorno conduce la trasmissione “La fiera dei sogni“, un gioco a premi sotto forma di quiz con domande, risposte e somme cospicue da vincere per i concorrenti. I partecipanti lottano per il successo, allo scopo di destinare quella cifra a un sogno, un desiderio particolare. Nel gruppo di alcuni ospiti VIP arriva in studio nientemeno che Vittorio Pozzo, e tutti gli sportivi italiani seguono la sua vicenda con trepidazione: ha infatti dichiarato, nei giorni precedenti, che il suo obiettivo è aiutare alcuni suoi ex giocatori in grave difficoltà. La presenza in studio di Pozzo è introdotta dall’attore Francesco Mulé e supportata dal caposervizio allo Sport de Il Corriere della Sera, il giornalista Gino Palumbo: “l’aiuto da casa” ante litteram.
Risponde immediatamente al quesito sul celebre gol di Burlando al Belgio nel 1922, di testa da distanza siderale. Poi la domanda della discordia: “Quali sono stati i sette calciatori del Genoa che Lei schierò in Germania-Italia 5-2, disputata a Berlino nel 1939?“. Un quesito alla portata di Pozzo, che infatti snocciola i primi cinque nomi più o meno agevolmente. Si emoziona, nel parlare dei suoi ragazzi. Ma i secondi scorrono, gliene mancano due. Arriva il gong. E con il tempo scaduto, arriva anche il gelo in studio. La risposta completa: Battistoni, Genta, Marchi, Neri, Perazzolo, Sardelli, Scarabello. L’aiuto via telefono di Palumbo non sortisce effetto. Senza tralasciare lo scoramento dell’anziano uomo di calcio, al quale non era stato detto un particolare fondamentale del quiz: aveva a disposizione solo pochi secondi per dare la risposta a Bongiorno. L’imbarazzo e l’eco mediatica fanno il resto.
Pozzo protesta e presenta regolare ricorso alla Rai, in quanto non avvisato preventivamente del tempo a disposizione per rispondere. La vicenda dell’ex Commissario Unico tiene banco sui giornali dell’epoca e il tutto amareggia ancora di più Pozzo, beffato nella credibilità e nello scopo di una vincita per aiutare i suoi vecchi ragazzi, aspetto a cui teneva tantissimo. Il ricorso viene accettato e così viene riabilitato, per ripresentarsi in trasmissione. Oltretutto, si trattava di una domanda “cattivella”, riguardante una gara in cui cambiò radicalmente la squadra per sperimentare il Sistema.
Ma il grande Vittorio, prossimo agli 80 anni, non se la sente più di ripresentarsi in tv dopo l’accaduto che contribuisce al suo isolamento. Va a seguire in quei giorni, come inviato per La Stampa, Italia-Scozia a Napoli. Cerca di annacquare il dispiacere. Al suo posto, a “La fiera dei sogni”, si propone come concorrente l’allievo prediletto Giuseppe Meazza, per sostenere la battaglia dell’anziano maestro: la produzione Rai rifiuta e ammette invece il ristoratore genovese e tifoso di calcio Nando Maestri. Il suo desiderio? Raccogliere fondi per ristrutturare la Lanterna. Nel frattempo, si leva unanime censura per l’autore televisivo che ha deciso le domande da rivolgere a Pozzo: un uomo anziano a cui veniva richiesto un notevole sforzo di memoria in pochi secondi, il quale aveva deciso di partecipare al quiz per nobilissimi intenti e non certo per rinnovare la propria notorietà. Una trappola di cattivo gusto.
Vittorio Pozzo muore a 82 anni il 21 dicembre 1968, dopo essere stato pressoché dimenticato. Una macchia che non fa onore al calcio italiano. Per la cronaca, uno dei destinatari del premio eventualmente vinto in televisione, avrebbe dovuto essere il campione del mondo 1938 Bruno Chizzo. Pozzo non aveva voluto fare nomi pubblicamente, per non attentare alla dignità delle persone coinvolte.
Non tutti probabilmente sanno che versasse regolarmente la sua tredicesima mensilità – oltre ai vaglia generosamente inviati tramite la fedele collaboratrice Onorina agli ex azzurri in difficoltà – in favore dei vecchi nazionali caduti in miseria, che portasse regolarmente i fiori sulle tombe dei suoi “condottieri” (come Attilio Ferraris, Umberto Caligaris e i caduti del Grande Torino) e non dimenticasse mai di far visita a Cesarini, Guaita, Monti, Orsi e Demaria quando si recava in Argentina per un servizio giornalistico. Un uomo d’altri tempi, onesto e fedelissimo, da autentico capofamiglia azzurro.
(Fonti: Il Corriere della Sera, novembre-dicembre 1965 / Calcio 2000, ottobre-novembre 1997)