Giocatore e poi allenatore apolide di origini ungheresi, József Bánás legò per mezzo secolo la propria esistenza all’Italia e al calcio del Belpaese. Ripercorriamone la storia e, soprattutto, l’ultimo travagliato periodo della sua vita.
Nato a Cifer (cittadina situata nell’odierna Slovacchia) nel 1894, Bánás si trasferisce in tenera età in Ungheria con la famiglia e qui scopre il pallone. Entra nel Ferencvaros nemmeno ventenne e poi passa al Vasas. Incontra come suo allenatore a Budapest l’inglese Hogan, da cui apprenderà tantissime nozioni che metterà da parte per il futuro. Infine compie il viaggio a ritroso verso la Cecoslovacchia, per indossare i colori del Teplice. Arriviamo al 1924: il nostro protagonista ha 30 anni, in età considerata vicina al tramonto per un calciatore.
Invece accetta la chiamata del Milan e in rossonero milita due campionati, giostrando come centromediano, vedendo interrotta la carriera da un infortunio. Ma Bánás, soprannominato nel frattempo Giuseppe, porta i suoi insegnamenti in Italia sulle tecniche e tattiche calcistiche acquisite in terra magiara, come tantissimi altri uomini di calcio. Si forma così una nutrita scuola ungherese tra gli allenatori professionistici, in Serie A e B. Il nostro si distingue per la qualità sulla parte atletica nella preparazione dei calciatori.
Allena in varie categorie per trent’anni, guidando anche Milan, Padova e Cremonese: vincerà un campionato di Serie C e uno Dilettanti. Ha il merito di aver scoperto un certo Ezio Loik, colonna del Grande Torino. Alla fine degli anni Cinquanta viene richiamato dai rossoneri per prendersi cura dei giovani, e qui forma i futuri nazionali Salvadore, Radice, Trapattoni e Trebbi. Lascia il pallone all’inizio degli anni Settanta, senza sapere che un nemico subdolo fosse già pronto a colpirlo severamente. E qui entra in scena l’ultimo periodo della vita di József Bánás.
Nell’aprile del 1966 scompare da casa per quasi un giorno e mezzo. L’ex allenatore, ormai 72enne, aveva deciso di fare una passeggiata a Milano dove risiedeva. Il suo mancato rientro e la diagnosi di arteriosclerosi allarmano la moglie, il figlio e le autorità, che fortunatamente lo rintracciano dopo 35 ore. Era stato colpito da amnesia e non ricordava più la strada di casa.
I familiari, temendo un evento spiacevole, avevano inserito dei bigliettini con nome e indirizzo nelle tasche di József, per facilitarne il ritorno a casa. Viene rinvenuto vicino allo stadio San Siro e ricoverato in ospedale. L’allenatore apolide muore ad Arona (Novara) il 3 marzo 1973, all’età di 79 anni.