Luís Spadetto, ex allenatore delle giovanili dello Sport Club Internacional, era un giocatore promettente, ma ha dovuto chiudere anticipatamente la carriera a causa di alcuni infortuni che non gli hanno consentito di esplodere nel grande calcio internazionale. Negli anni è diventato un allenatore di qualità, con personalità forte, intensa e amante di un gioco propositivo.
In esclusiva a MondoSportivo Brasil, Spadetto ha parlato delle sue idee di gioco, delle metodologie di allenamento, dei progetti realizzati finora e di quelli per il futuro.
“I miei esordi, come quelli di quasi tutti i bambini brasiliani, giocando per strada scalzi fino a quando la mamma non ti costringeva a tornare a casa, perché il giorno dopo andavi a scuola. Sono stato ispirato da mio padre e mio fratello, anche loro giocatori. Sono cresciuto giocando all’aperto, praticando anche il futsal, poi, quando avevo 11-12 anni, ho lasciato casa per giocare nella capitale del mio stato. Tempi difficili, ma ne è valsa la pena”.
Hai iniziato a giocare a 17 anni e hai dovuto smettere a 26. Hai nostalgia del campo o sei soddisfatto di lavorare nello staff tecnico?
Ho tanta nostalgia, giocare a calcio mi manca. Ma posso dire che mi sento completo adesso, come professionista. Lavorare nello staff è soddisfacente, anche se sì, mi manca tantissimo scendere in campo come calciatore.
È stato difficile interrompere una carriera che sembrava promettente, e farlo così giovane?
”Molto. Ho smesso di giocare, ma con la testa non smetterò mai di sentirmi un calciatore. La mentalità cambia, i sentimenti rimangono”.
Hai iniziato giovanissimo, a 17 anni, in Brasile. Cosa vuol dire per te, chi e cosa ti ha aiutato nel diventare un calciatore?
L’ammirazione per le individualità. Devo tutto al Brasile: vengo dal calcio di strada e dal Futsal, sono fiero e orgoglioso di ciò. Il calcio è un gioco collettivo ma anche individuale, io poi ritengo che il miglior allenatore brasiliano di sempre sia Telê Santana, e lui diceva che ‘senza tecnica non esiste tattica’. Il Brasile è stata la mia prima scuola di vita e di calcio”.
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