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Pallone Noir – Antonio Bacchetti: Resistenza, pallone, omicidi

La storia di Antonio Bacchetti è molto singolare e avvolta dalle pieghe del Novecento. Calciatore di Serie A, assassino prima amnistiato e poi incarcerato.

Antonio Bacchetti nasce nel comune friulano di Codroipo il 17 marzo 1923. Mezzala mancina dall’ottimo bagaglio tecnico, ma dal carattere non proprio incline alle regole, durante la Seconda Guerra Mondiale milita con le maglie di Potenza, Savoia e Cormonese. Concluso il conflitto, prende parte con l’Atalanta alla prima edizione della Serie A post bellica. In seguito passa alla Lucchese e all’Inter, sempre nel massimo campionato, senza tirare su più di una manciata di presenze. Una promessa mancata?

Continua la carriera in un perenne girovagare da squadra a squadra, di città in città. Gioca fino a 34 anni, inanellando le esperienze con Brescia, Napoli, Udinese, Crotone e Cividalese. Ma proprio mentre è un tesserato partenopeo, la cronaca nera inizia a occuparsi di lui. Il 17 dicembre 1951 viene chiamato a comparire davanti alla Corte d’Assise di Udine insieme ad altre quattro persone – tra cui il fratello Germano – con accuse pesantissime: omicidio e sequestro di persona.

I fatti risalgono a prima della Liberazione. I Bacchetti e gli altri tre partigiani avrebbero sequestrato due uomini, di cui uno (Antonio Cornussi) rimasto ucciso in località Casali di Porpetto, oggi Casale Rovere, in provincia di Udine. Il calciatore, che all’epoca delle accuse ha 28 anni e milita come detto nel Napoli, viene amnistiato grazie alla legge Togliatti, entrata in vigore nel 1946. Nel post carriera diventa osservatore e scopritore di talenti di buone capacità: scova tra gli altri l’attaccante Gianfranco Casarsa, udinese, che gioca diverse stagioni nella Fiorentina anni ’70.

Non solo: veste i panni di allenatore di una società dilettantistica di Udine, l’Edera. Ma il nostro non può evitare il carcere quando, in un periodo molto difficile a livello economico e fisico, rimane coinvolto in un altro omicidio. 18 maggio 1974. Uccide il presidente di una squadra giovanile (la “Porzio”), Armando Lorenzutti, reo secondo Bacchetti di non avergli pagato delle spettanze e di trattare i giovani calciatori come mere macchine da soldi. Bacchetti lo fredda con un colpo di pistola al petto, nel retrobottega del suo negozio di articoli sportivi, in uno scatto di follia. Quando la Polizia lo arresta, l’arma ha ancora un colpo in canna.

Viene condannato a quasi dieci anni di reclusione. Durante la detenzione, si ammala di tumore e lascia la struttura in libertà provvisoria per motivi di salute. Muore in ospedale a Udine il 9 maggio 1979, ad appena 56 anni. Nel 2020, lo scrittore Sergio Giuntini ha ripercorso la sua storia nel libro “’O Cammello. Vita, morti e miracolosi gol di Antonio Bacchetti partigiano-calciatore” (Mimesis Edizioni).

(Da La Stampa: 2/11/1951, 19/5/1974 e 10/5/1979)