Da Sassuolo a Sassuolo: il Milan è rinato

Impostiamo la macchina del tempo: 23 Maggio 1999. Quel giorno il Milan è a Perugia e comanda la classifica con 67 punti (media bassa? Si, ma le squadre partecipanti erano ancora 18), mentre la Lazio insegue a 66 e gioca all’Olimpico contro il Parma. Dopo l’ultimo scontro diretto con l’undici di Eriksson, finito 0-0, i rossoneri inanellano sette vittorie nelle ultime sette giornate, rimontando i biancocelesti inciampati al Franchi di Firenze proprio alla penultima gara.

Al Curi il Milan passa dopo 11’ con Guglielminpietro, raddoppia con Bierhoff alla mezz’ora e subisce il ritorno dei padroni di casa con un rigore trasformato dal giapponese Hidetoshi Nakata, promesso sposo della Roma. Abbiati compie una super-parata su Kaviedes ad inizio ripresa e la partita termina con il Diavolo che conquista il suo sedicesimo Scudetto. Iconica rimarrà nella storia del calcio italiano l’immagine di Galliani fuori dalla grazia di Dio in un’estasi di esultanza sugli spalti per un titolo che, a inizio stagione, sembrava non poter essere nelle corde del Milan.

Da allora, sono passati 23 anni e, come quel giorno, anche stavolta Galliani c’era. Al Meazza, con tanto di cartoncino rosso in mano a partecipare alla straordinaria coreografia che ha avvolto tutto lo stadio e accompagnato in campo l’ingresso delle squadre. Tono più dimesso e composto, ora dirige il Monza, i vecchi tempi sono andati. Ma la passione rossonera scorre, anzi sgorga dalle sue vene in maniera evidente. Ci sono molte analogie con quel campionato, oggi come allora il Milan ha dimostrato costanza, compattezza, solidità difensiva e una grande maturazione mentale che ha permesso di perseguire l’obiettivo senza farsi mai scalfire dal contesto.

Il finale, stavolta, non è ancora stato scritto. Domenica a Reggio Emilia la squadra di Pioli avrà due risultati su tre per rivincere uno Scudetto che manca da 11 anni. Perderlo al fotofinish sarebbe tremendo. Ciò che, però, è stato costruito negli ultimi due anni va approfondito e resta qualcosa di stupefacente. In un ideale cerchio che si chiude, il peggior Milan degli ultimi anni era uscito con le ossa rotte dal Gewiss Stadium di Bergamo il 22 Dicembre 2019 (5-0 umiliante) e il miglior Milan, invece, ha messo solide basi per lo Scudetto il 15 Maggio 2022 sempre contro l’Atalanta. Stavolta con un 2-0 che pesa, però, come la manita subita due anni e mezzo prima.

Nel frattempo, è tornato a Milanello Zlatan Ibrahimovic che, con la sua sola presenza, ma anche con la sua tempra e i consigli dati ai più giovani, ha fatto crescere i rossoneri in maniera esponenziale. Lui ed il cuoco Persechini sono gli unici reduci dal trionfo di Roma del 2011. Corpo e anima, gusto e sentimento sono stati curati come un tempo per tornare ad essere vincenti o almeno competitivi. Dopo Ibra, arrivò anche la pandemia, che ha svuotato gli stadi e, per assurdo, ha permesso ad un gruppo giovane di forgiarsi senza la pressione e i fischi dei tifosi.

Prima dello stop forzato a causa del lockdown, il Genoa aveva espugnato un Meazza già deserto e una squadra veramente mediocre. Alla ripresa, da Giugno ai primi di Agosto, sono arrivati 12 risultati utili consecutivi e Zlatan ha messo a segno ben 10 gol. Quella stagione si è conclusa con un sesto posto e ha permesso a Stefano Pioli di allontanare il fantasma di Ralf Rangnick, già osteggiato da Boban dal Natale precedente. Un guru che, probabilmente, è più a suo agio dietro la scrivania che su una panchina, come dimostrano i recenti disastrosi risultati allo United.

Soprattutto, Pioli ha potuto impostare un lavoro intelligente, corroborato dal dialogo e dall’intesa reciproca con Paolo Maldini e Frederic Massara, ad oggi i migliori dirigenti del calcio italiano. La schiena dritta dimostrata nei confronti delle bizze economiche di Donnarumma e Calhanoglu ha mandato un segnale forte non solo alla squadra, ma al calcio italiano e quello internazionale. I tempi sono cambiati, i soldi infiniti non ci sono più, perciò servono idee e capacità di dribblare procuratori e mercenari di varia natura. Ne è uscito un Milan che, chiariamoci, non è stellare come può esserlo un Liverpool o un Real Madrid, prossime finaliste di Champions.

È una squadra ancora tecnicamente imperfetta, non ha undici stelle e ci sono molti gregari. Ma tutti, dall’allenatore all’ultimo dei magazzineri, tutti remano nella stessa direzione. Pioli ha saputo dare ai suoi punti di forza la resa massima. Uno su tutti, la difesa: il Milan è la miglior retroguardia del campionato, ha in Mike Maignan il miglior portiere della Serie A ed ha trovato in Kalulu e Tomori una coppia centrale inossidabile. Praticamente perfetta contro l’Atalanta e, in generale, in assoluto crescendo negli ultimi tre mesi.

Il tutto, a causa dell’infortunio di Simon Kjaer, acclamato dalla Curva Sud insieme ai suoi figli a passeggio sull’erba del prato di San Siro al termine dell’ultima partita. Già il danese, con Tomori, si era dimostrato diga molto alta da scavalcare. Dopodiché, si è imposto il francese pescato dall’eccellente scouter quale è Geoffrey Moncada. Il risultato è da stropicciarsi gli occhi, con il primato dei clean sheet in questo campionato: 17, dei quali 11 solo nel 2022. Ed era dal 2002, con Carlo Ancelotti in panchina, che il Milan non infilava una serie di almeno cinque partite interne consecutive senza subire reti in Serie A (sei in quel caso).

È proprio da qui che Pioli ha costruito la propria scalata, non potendo contare, al contrario, su un attacco particolarmente prolifico. I progressivi acciacchi di Ibra non hanno aiutato, Giroud ha fatto il suo, ma non è un bomber da 20 gol. E Leao, che pure con l’Atalanta ha messo l’undicesimo sigillo, nemmeno può considerarsi un vincitore di classifiche marcatori. Proprio dal portoghese, però, è partita quella scintilla che ha permesso al Milan di portare a casa le partite grazie ai suoi devastanti spunti sulla fascia sinistra. Ha una condizione fisica invidiabile e quando parte in progressione, non lo ferma praticamente nessuno.

Ha approfittato dell’errore di Terracciano per segnare il gol-vittoria contro la Fiorentina, ha dissolto l’incubo “fatal Verona” offrendo due straordinari assist a Sandro Tonali e ha aperto i chakra del destino contro l’Atalanta. È stato, in poche parole, decisivo. Così come Theo Hernandez, l’unico difensore a contare almeno cinque gol e almeno cinque assist in ciascuna delle ultime due stagioni nei cinque maggiori campionati europei. Il suo strepitoso coast to coast poteva già essere il gol-Scudetto, ma di sicuro resterà negli annali della storia del calcio. Non è tecnicamente superbo nemmeno lui, perde ancora troppi palloni in modo banale. Quando parte in progressione, però, sembra un treno in corsa contro cui ci si può solo schiantare. E i difensori dell’Atalanta, infatti, non si sono minimamente azzardati a contrastarlo, quando palla al piede è partito dalla Curva Nord ed ha finito esultando sotto la Sud.

Costanza è la parola chiave: il Milan è in serie positiva da 15 partite in campionato, l’ultima sconfitta risale al 17 gennaio quando i rossoneri uscirono k.o. dalla sfida del Meazza contro lo Spezia, poi 9 vittorie (le ultime tre consecutive) e 4 pareggi. La squadra di Pioli ha ottenuto 83 punti finora: soltanto nel 2005/06 ha fatto meglio (88) in una singola stagione nell’era dei tre punti a vittoria. Il derby vinto in rimonta 2-1 lo spartiacque di una stagione che, da semplice conquista di un posto Champions, si è tramutata in rincorsa Scudetto.

Ora l’ultima tappa, Sassuolo: proprio lì, dove l’ultimo allenatore rossonero scudettato (Allegri) perse la panchina, può arrivare invece la consacrazione per un altro, Stefano Pioli. Anche lui vuole chiudere un cerchio: passare dal dolore che ha avuto e che avrà per sempre nel cuore, la morte di Davide Astori (cresciuto, guarda un po’, nel Milan) quando allenava la Fiorentina, alla gioia più grande che quel cuore merita e che da sempre, vada come vada… “is on fire”.