Adesso chiamatelo Carlo V di Spagna. O Carlo Magno, se preferite. Perché, sì, l’impresa è “magna”, è grande. È unica. Nel 1500 anche Carlo V d’Asburgo aveva dominato l’Europa, imperatore del Sacro Romano Impero Germanico, Re d’Italia, Arciduca d’Austria, Re di Spagna e delle Indie e Duca di Borgogna. Oggi c’è Re Ancelotti, che di Ducato conosce bene quello di Parma, dove ha mosso i primi passi da calciatore e si è consacrato come allenatore.
I detrattori diranno: “Per forza, se non vince con quelle grandi squadre!”. Certo, forse, chissà. Di sicuro, per arrivare ad allenare quelle grandi squadre bisogna meritarselo e da grandi squadre non nascono per forza grandi trionfi. Il Paris Saint-Germain ne è l’esempio più lampante. Eppure, Carlo Ancelotti ha vinto anche lì. E oggi si gode, nella sua seconda esperienza al Real Madrid, il record più bello: aver vinto un campionato nei 5 Paesi più importanti. Unico a riuscirci nella storia. Dopo aver raggiunto e poi condiviso già un altro primato enorme: quello delle 3 Champions League vinte da allenatore. Come lui, solo Bob Paisley e Zinedine Zidane.
Ha cominciato a vincere in Italia, con il Milan, quando tutti gli davano del perdente di successo. Perdente… uno che aveva portato uno scudetto a Roma da calciatore, impallinato proprio il Real Madrid e sollevato ogni tipo di trofeo con il Milan degli Invincibili. Etichette sciocche del mondo del calcio, che ha memoria corta e valutazioni umorali… Nel 2004 il primo Scudetto con il Milan, nel 2010 la Premier League con il Chelsea, tre anni più tardi la Ligue 1 con il Paris Saint-Germain, nel 2017 la Bundesliga con il Bayern Monaco. Il 30 Aprile 2022, infine, la Liga spagnola con il Real Madrid, 35° titolo nazionale della casa blanca, ottenuto a quattro giornate dalla fine.
Con una striscia di 24 vittorie consecutive e un percorso generalmente costante durante tutta la “temporada”. E attenzione, perché non è finita qui. La semifinale di ritorno di Champions League contro il Manchester City di Pep Guardiola è tutta da giocare. Il sogno di un double non è chimera, ma ha solide realtà. Come quello conquistato sulla panchina del Milan nel 2003, quando vinse prima la coppa dalle grandi orecchie e poi la Coppa Italia, che mancava da 26 anni. In quell’estate, poi, sarebbe arrivata anche la Supercoppa europea. Questa volta, il prestigio aumenterebbe, perché la Liga vale oggettivamente più della coppa nazionale. Senza di lui, l’Everton annaspa vicino alla retrocessione, a Napoli invece non è andata bene, ma in quel caso la vita è stata difficile per qualsiasi allenatore che abbia dovuto combattere con gli umori di De Laurentiis.
I suoi successi nascono dal pragmatismo di Nils Liedholm e dall’applicazione di Arrigo Sacchi, i due maestri che lo hanno plasmato già sul campo come futuro allenatore. L’umanità, invece, è tutta sua: capace di comandare con dolcezza, che non vuol dire mancanza di fermezza. Con un’autoironia feroce, tipica degli uomini intelligenti. I tifosi della Juventus lo accolsero a Torino con uno striscione sgradevole: “Un maiale non può allenare”. Carletto rispose senza pensarci due volte: “È un’insopportabile mancanza di rispetto verso la figura del maiale!”.
Non ci sono solo i rivoluzionari, quelli si contano sulle dita di una mano: Michels, Sacchi, Cruijff, Guardiola, Herrera e pochissimi altri. Esistono anche i grandi allenatori e Carlo Ancelotti fa parte di questa categoria, anzi, attualmente la domina. Quando è tornato a Madrid c’era scetticismo, nonostante fosse lui il guru della “Decìma” Champions tanto agognata. Tutt’ora il suo Real desta qualche perplessità, soprattutto in difesa. Non nel campionato spagnolo, dove se la cava bene con il secondo pacchetto arretrato migliore del campionato: 29 gol subìti.
In Europa, invece, prende troppi gol con avversari di pari livello. In 11 partite, 13 gol al passivo. Più di uno a partita. Gli ultimi otto, rifilati da Chelsea e Manchester City. Questo Real Madrid ha delle assonanze con il suo Milan: se allora Maldini, Seedorf e Gattuso erano i luogotenenti che trascinavano il gruppo, oggi ci sono Modric, Kroos e Benzema che agiscono come tali e danno lo strappo decisivo nei momenti di difficoltà. Il croato è tornato ai livelli del 2018, anno del Pallone d’Oro che ha interrotto la diarchia Messi-CR7, Karim “The Dream” invece sta facendo di tutto per guadagnarselo il futuro prossimo e prestigioso trofeo di France Football. A suon di gol, facili e meno facili, nella Liga e in Champions League.
Nel campionato spagnolo 25 gol in 29 partite e 11 assist per il francese, numeri da brivido, da bomber. Da leader. Kroos dà quantità, qualità ed equilibrio ed è ancora oggi uno dei migliori centrocampisti d’Europa, anzi del mondo. Nel corso degli anni Ancelotti non è evaporato, anzi, è migliorato come il vino rosso che ama tanto: ha saputo ridisegnare le proprie convinzioni e rileggere i suoi sistemi di gioco in funzione ai giocatori.
Se oggi un talento come Vinicius trova spazio da protagonista è per quello. Un tempo, cavalieri dello zodiaco calcistico come Zola e Baggio non avevano collocazione nell’undici ideale di Carletto. Oggi, ne sarebbero i portabandiera. Bene, l’elogio è finito, ora attendiamo le prossime imprese. E se non sarà con i club, un giorno speriamo possa trionfare con una nazionale. Africana, magari. Il suo sogno, il nostro. Viva Re Carletto!