Arriva il professionismo nella Serie A Femminile: cosa cambia?
La Federcalcio ha finalmente votato le modifiche alle Norme Organizzative Interne che definiscono il professionismo nel calcio femminile, norme che erano già state fissate nel luglio del 2020 dalla stessa FIGC e nel novembre del 2020 con l’emendamento, a firma di Tommaso Nannicini, al Decreto Rilancio, emendamento che fissava i criteri e i fondi pubblici per favorire il professionismo femminile. Ora abbiamo anche una data certa: primo luglio 2022. Ma cosa cambia in pratica?
Cambia che tutte le calciatrici delle squadre di Serie A Femminile avranno contratti professionistici (dato che i contratti attuali dilettantistici smetteranno di essere validi dopo il 30 giugno 2022), con contributi previdenziali, Irpef e contributi per il fondo di fine carriera versati, con un salario minimo di 26 mila euro lordi all’anno e un contratto collettivo (ancora da definire) che fissi il trattamento economico e normativo dei rapporti, definendo i paletti di diritti e doveri delle parti, tra cui anche tutele mediche sia in caso di maternità che in caso di infortuni. Quindi cambia in meglio? Per molte ma non per tutte le giocatrici, visto che alcune guadagnavano molto di più, con contratti a partire da 30.658 euro all’anno a cui aggiungere un bonus ulteriore, oppure un rimborso spese e indennità di trasferta pari a 77,47 euro al giorno.
E cosa cambia per le società? Ecco, per loro cambia davvero tanto. Al momento la Serie A Femminile è composta da 12 squadre di cui 10 sono affiliate a club e maschili e solo 2, Napoli e Pomigliano, sono società dilettantistiche a tutti gli effetti. Ebbene, dal primo luglio, tutte le squadre militanti in Serie A Femminile (che diventerà a 10 squadre) dovranno diventare società di capitali, versare una fideiussione di 80 mila euro e avere uno stadio da almeno 500 posti, nonchè avere contratti professionistici per tutte le loro calciatrici. E questo sarà possibile? Dipende, visto che una squadra di Serie A Femminile al momento incassa circa 242 mila euro e ne spende circa un milione, ma con il passaggio al professionismo i costi aumenteranno dal 40% all’80%, con un impatto complessivo di 10 milioni di euro circa di aumento delle spese con la Federcalcio che ne coprirà all’incirca solo 3 milioni per tre anni.
Questo professionismo “parziale” (che interesserà solo la Serie A Femminile, lasciando le altre categorie praticamente intatte) avrà quindi un grandissimo impatto, sicuramente positivo per le calciatrici ma molto probabilmente negativo per le società. Da un lato non c’erano dubbi che questo passaggio dovesse essere fatto per tutelare le giocatrici (e a breve potrebbe seguire anche il basket femminile), ma dall’altro le società vedranno aumentare notevolmente i loro costi a fronte di un contributo molto parziale da parte della FIGC. Così si rischia che alcune società spariscano pur di non indebitarsi fino al collo oppure che vengano ceduti alcuni titoli sportivi per fare fronte a delle spese ingestibili per piccole realtà imprenditoriali (penso al Napoli non affiliato, al Pomigliano, al Tavagnacco, al Como, al Brescia, al Ravenna, tanto per fare alcuni nomi). Ad avviso di chi scrive, si doveva osare di più per garantire una transizione più “morbida” e lasciare che il sistema si assestasse maggiormente, senza questo scossone violento. Ma vedremo solo dopo un anno quali frutti porterà questo cambiamento.
Concludiamo questo articolo con le voci delle protagoniste, quelle che per anni hanno lottato sul campo e non solo. Cominciamo da Carolina Morace: “Cosa cambia? Le tutele: in caso di maternità, ma anche di assistenza e previdenza. Io ho le ginocchia rovinate, avrei avuto diritto alla pensione dopo tanti anni di professionismo. E avrei avuto la pensione e sicuramente dei punti per l’invalidità“. Le fa eco la CT della Nazionale Milena Bertolini: “Sono emozionata, è stata una lotta lunga e dura. Raccogliamo i frutti di tanto lavoro. Si deve partire dal vertice per permettere al sistema di crescere in qualità e numeri, senza dimenticarsi di investire sulla base. È un pensiero circolare: dal passaggio al professionismo trarrà beneficio tutto il movimento“. Parla di processo di crescita il presidente della Divisione Calcio Femminile Ludovica Mantovani: “Abbiamo aggiunto un ulteriore tassello al nostro percorso di crescita, personalmente lo vivo come un punto di partenza, atteso e necessario, che ci spinge a lavorare con grandissimo impegno per raggiungere e garantire nel tempo la sostenibilità di tutto il nostro sistema”. Gioisce, non senza una vena di polemica, Betty Vignotto, storica Azzurra: “Benvenuto professionismo: ora vedremo di cosa si tratta. Ogni epoca dello sport ha i suoi riferimenti: io ho dato. Ma questo professionismo doveva arrivare prima, non nel 2022. E dove sono le donne in Figc? E nei posti di potere? Le calciatrici americane, che hanno vinto quattro Mondiali, hanno dovuto fare causa alla Federcalcio Usa per avere pari guadagni… A me sembra che di strada da fare ce ne sia ancora tanta“.