In Primo Piano

Joachim Streich (1951-2022), il bomber dall’altra parte del Muro

Dopo una lunga malattia, è scomparso a 71 anni Joachim Streich. Se Gerd Müller ha impersonificato il gol in Germania Ovest, dall’altra parte del Muro di Berlino Streich ne ha rappresentato l’alter ego con talento e dignità, nonostante le enormi differenze date dal periodo storico. L’omaggio a un cannoniere troppo spesso dimenticato.

Nato il 13 aprile 1951 a Wismar, nella Repubblica Democratica Tedesca, Joachim Streich inizia a giocare a calcio a sei anni nell’Aufbau Wismar. Passa nel settore giovanile dell’Hansa Rostock, da qui il debutto nella squadra B nel 1969. Contestualmente, aveva completato l’abilitazione come montatore di quadri elettrici. Qualche mese e approda alla prima squadra, che milita nell’Oberliga, massima categoria del calcio DDR. Dopo l’Under 18, entra a far parte della Nazionale Under 23 e nella Germania Est dei “grandi”. L’8 dicembre 1969 ecco il debutto contro l’Iraq. Inizialmente come ala destra, gradualmente accentra il suo raggio d’azione fino a diventare un vero e proprio terminale offensivo: i gol iniziano ad arrivare con grande regolarità e dimostra tutto il suo bagaglio tecnico, grazie anche alla notevole elevazione nonostante i 173 centimetri d’altezza.

Nel 1972 vince la medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Monaco, due anni più tardi prende parte al primo e unico Mondiale della storia DDR: segna due gol ma non disputa, per scelta tecnica, la storica gara contro i cugini dell’Ovest. Nel ’76, quando la rappresentativa orientale vince l’oro a Montreal, Streich non c’è perché escluso dalle convocazioni. Un anno prima aveva lasciato Rostock, perché intendeva legarsi al Carl Zeiss Jena. Non gli fu consentito. Potendo scegliere tra restare all’Hansa o andare al Magdeburgo, decise per la seconda ipotesi.

Fu qui che Joachim esplose in tutta la sua verve realizzativa. Nell’arco di un decennio si laureò per quattro volte capocannoniere dell’Oberliga, diventando il topscorer di sempre con 229 gol; stabilì il primato di reti in un solo match, sei, segnati al Chemie Böhlen nel 1978-79; venne premiato per due volte quale calciatore dell’anno; diventò il recordman di presenze e gol in Nazionale, rispettivamente 98 e 53. Per tanti anni il suo score con la DDR era stato di 102 partite e 55 marcature, ma la FIFA decise poi di non conteggiare le gare olimpiche. La sua 100ª gara l’aveva disputata a Wembley contro l’Inghilterra nel settembre 1984. 

Quel giorno scambiò la maglia con un avversario inglese. Un curioso aneddoto racconta come, invece di preservarla come prezioso ricordo, Streich utilizzò quella casacca come maglia da lavoro per imbiancare casa. Un personaggio umile, alla mano, che dava poco peso ai comunque grandi traguardi raggiunti in carriera. Ma c’era una cosa che a Joachim non piaceva proprio: venire considerato come il Gerd Müller dell’Est: “Ognuno non può essere semplicemente sé stesso?, soleva affermare quando saltava fuori questo parallelismo.

Appesi gli scarpini al chiodo nel 1985, il nostro venne letteralmente trasportato sulla panchina del Magdeburgo. Con la caduta del Muro di Berlino e la riunificazione, diventò il primo tecnico dell’est ad allenare un club occidentale: avvenne con l’Eintracht Braunschweig nel ’90, ma venne esonerato a undici gare dal termine del campionato di seconda divisione. Termina la sua storia con un ruolo attivo nel calcio nel 1997, iniziando a lavorare come commesso per una catena di articoli sportivi – sempre a Magdeburgo – ed editorialista per la rivista Kicker fino alla pensione. 

A Joachim Streich viene diagnosticata una sindrome mielodisplasica, con cui lotta caparbiamente per lungo tempo. A marzo deve rinunciare a un trapianto di cellule staminali a causa di una polmonite. Il medico che lo cura era stato un suo tifoso, quando Joachim segnava su tutti i campi della Germania Est. Il 16 aprile soccombe infine alla malattia, che era stata tenuta a bada nel tempo ricorrendo all’emotrasfusione. Muore tre giorni dopo il compimento dei 71 anni. Nel 2021 era stato introdotto nella Hall of Fame del calcio tedesco, insieme a Klose, Eckel, Lattek e Kohler.