Dopo “l’esordio” contro l’Olympiakos, lo Shakhtar Donetsk è tornato in campo per la seconda tappa del proprio tour di pace in giro per l’Europa, stavolta a Danzica, contro il Lechia Gdańsk. Un’altra gara simbolica, in nome della solidarietà e della speranza, che ha provato a lasciare spazio, per una notte, ai valori dello sport al posto dei rumori della guerra da ormai più di 50 giorni diventati quotidanità per milioni di persone in Ucraina. Ancora una volta, lo scopo della partita è stato anche benefico, con il ricavato che sarà devoluto alla fondazione “Gdansk aiuta l’Ucraina”.
Tante le fotografie potenti della serata di ieri che rimarranno impresse nella storia, come ricordo indelebile di questa guerra sanguinosa. I giocatori dello Shakhtar Donetsk in campo con i nomi delle città ucraine stampate sulle maglie, ma anche la presenza dal forte significato politico di Yaroslav Rakitskiy, il difensore ucraino che agli inizi di marzo aveva rescisso dallo Zenit San Pietroburgo per la “difficile situazione familiare” dopo essersi esposto anche sui propri social contro l’invasione della Russia (“Gli ucraini pacifici stanno morendo a causa dei soldati russi. La Russia sta informando male il suo popolo, non gli è stata detta la verità”). Per una notte, però, il 32enne è tornato a indossare la divisa arancionera, quella che ha segnato quasi tutta la sua carriera, sin dalle giovanili.
Quasi a provare a chiudere un cerchio, dopo le polemiche che avevano accompagnato il suo trasferimento a San Pietroburgo nel gennaio 2019: i rapporti tra Ucraina e Russia erano già ai ferri corti per la questione del Donbass e il trasferimento in una squadra del “nemico” di uno dei giocatori simbolo della squadra di Donetsk fu visto come un vero e proprio tradimento. Rakitskyi non fu più convocato dal ct Shevchenko (ormai l’ultima presenza con l’Ucraina risale al 2018), diventando immagine del complicato intreccio tra sport e politica, soprattutto con le armi ancora fumanti in Donbass. Per il momento, assicurano dallo Shakhtar che la sua presenza sarà limitata alla tournée benefica, senza optare per un vero e proprio ingaggio. Ma per ora, ha già un suo peso la partecipazione del difensore in questo giro per l’Europa in nome della solidarietà.
L’immagine più emozionante della serata, però, è arrivata al 90esimo minuto. La squadra di De Zerbi opta per un cambio dal valore simbolico ancora più forte: fuori Mudryk, dentro Dmytro Keda. Un ragazzino di soltanto 12 anni, con dietro la maglia la scritta Mariupol: è dalla città portuale, uno dei simboli dell’assedio della Russia e da settimane teatro di una battaglia sanguinosa casa per casa, che il giovane è scappato lo scorso 15 marzo per salvarsi dalle bombe. Lo Shakhtar ha provato a regalargli il sogno di scendere in campo in una squadra professionistica, ma non solo: anche di permettergli di segnare il gol decisivo del 3-2 che ha fatto calare il sipario sull’amichevole contro il Lechia. E bastano le immagini, stavolta, per far capire la potenza del messaggio di speranza arrivato dal campo.
Esiste un filo rosso che collega proprio Mariupol e Danzica. Entrambe città portuali, simbolo dell’apertura verso il mondo e centro di importanti scambi commerciali, ma unite anche da una storia comune di sofferenza per essere state assediate da grandi potenze che puntavano, con una guerra lampo, ad annettere quei lembi di terra ritenuti strategicamente fondamentali: la Germania nazista per la città polacca nel 1939 in vista dell’unione fondamentale sul piano geopolitico (più che di riunione con “la madrepatria tedesca”, come rese nota la propaganda del regime di Hitler) del territorio con la Prussia orientale; la Russia di oggi per creare un corridoio utile a raggiungere la Crimea, annessa nel 2014. Ma sono entrambe anche città di strenua resistenza all’invasore: si ricorderà che la Città Libera di Danzica per sette giorni riuscì a tenere testa agli oltre 3000 soldati tedeschi con appena 182 uomini della guarnigione polacca, salvo doversi poi arrendere il quasi completo esaurimento di munizioni, medicinali e cibo. Un destino che tristemente rischia di attendere anche Mariupol, a leggere le ultime novità.
Un’unione che si era compresa sin dagli inizi della partita, quando in campo erano scesi una donna con i suoi figli provenienti da Mariupol per rivolgere al mondo un appello per la pace e la fine della guerra. Lo stesso conflitto che ha ucciso il marito e padre di quella famiglia nel tentativo di resistere all’assedio russo proprio nella città portuale ucraina.
Emozionanti anche le parole di Roberto De Zerbi a fine partita: “Prima di tutto, voglio ringraziare il Legia Gdanks e il loro allenaotre Tomasz Kaczmarek perché capisco quanto sia complesso giocare in infrasettimanale. Al momento, il calcio non è fondamentale per noi. In questi giorni, ci sono cose molto più importanti. Ed è chiaro che i nostri pensieri non sono al momento focalizzati sugli allenamenti o le partite, perché stiamo affrontando una situazione davvero difficile. Stiamo girando per l’Europa e siamo grati a tutti coloro che ci offrono la possibilità di giocare. Oggi siamo in Polonia, che è vicina all’Ucraina. E’ stato ancora più emozionante, ovviamente. Possiamo dire che i due popoli siano molto simili, ed è per questo che le persone sugli spalti erano così emozionate.”