Primo Piano

VIDEO – La guerra in Ucraina, con gli occhi di Viktor Kovalenko: la nostra intervista

Le drammatiche vicende legate alla guerra in Ucraina sono entrate da più di un mese nelle case di tutto il mondo, con immagini e racconti che ci vengono riportati da chi si trova sul campo e sta vivendo sulla propria pelle quello che accade a pochi chilometri da casa nostra. E gli ucraini che si trovano lontani dal proprio Paese guardano con rabbia, sgomento, disperazione quello che sta accadendo: perché loro sono qui, a provare a continuare la propria vita, ma in patria ci sono amici, parenti e connazionali che rischiano ogni giorno la vita. Viktor Kovalenko, fantasista dello Spezia in prestito dall’Atalanta, è tra coloro che non sono riusciti a trovare molte parole per descrivere quello che provano dentro. Ha deciso di parlare con gesti pratici, per esempio mettendo all’asta la sua maglietta con la scritta “STOP WAR” attraverso la Belarusian Sport Solidarietà Foundation, Tribuna.com e Ukraine Alive 2022: i soldi saranno raccolti nel programma di beneficenza “World Sports for Ukraine”, assieme a quelli provenienti da altri beni di sportivi messi all’asta, per l’acquisto di 1000 giubbotti antiproiettile, 3000 kit di primo soccorso secondo standard NATO e bendaggi, 100 defibrillatori e cibo per i rifugiati.

MondoSportivo è da sempre in prima linea per la diffusione di storie di pace e libertà, condannando la violenza, la guerra e i governi autoritari, soprattutto quando lo sport stesso viene coinvolto. Kovalenko, oltre all’intervista rilasciata alla Gazzetta dello Sport, ha deciso così di aprirsi ai nostri microfoni, raccontandoci con i suoi occhi la guerra in Ucraina: le sue paure, i ricordi, le speranze, le tante domande rimaste senza risposta.

Qui il video integrale dell’intervista:

“Ora sto così così, ma nel primo mese stavo davvero male, dormivo male. Posso solo immaginare come stessero le persone in Ucraina, senza prendere una specifica medicina non potevo nemmeno addormentarmi. Quando ho saputo che i miei amici e la mia famiglia non erano in pericolo di vita, la situazione è migliorata. Ma è stata dura. Ho avuto anche il pensiero di tornare in Ucraina, di aiutare in qualche modo possibile lì. Ma poi ho capito che io sono più utile qui a giocare a calcio. Anche frequentando gli allenamenti posso staccare con la testa, pensare solo al calcio”

Il mondo dello sport ha risposto in maniera complessivamente unita all’invasione dell’Ucraina, mostrando grande solidarietà: ti aspettavi questa reazione?

“Prima di tutto posso dire che non mi aspettavo questa invasione, questo mi ha stupito di più. Il mondo ha visto che l’Ucraina sta difendendo il nostro Paese e il nostro territorio, vedono tutti che abbiamo ragione noi. Mi ha fatto piacere la reazione del mondo, posso solo ringraziare tutti per quello che è stato fatto per noi.”

Le Federazioni sportive in tutto il mondo hanno condiviso l’approccio di escludere società e atleti russi e bielorussi per “punire” i rispettivi Paesi: sei d’accordo con questa decisione?

“Tanti giocatori e sportivi russi giocano e lavorano all’estero. All’estero non c’è la propaganda russa e possono vedere come stiano le cose in realtà. Quando vedi com’è la realtà, non puoi stare zitto. Invece alcuni non commentano. E se non commenti, per me significa che accetti questa situazione. E allora è giusto che si prenda queste scelte.”

Sei nato a Kherson, che oggi è uno dei fronti di battaglia più sanguinosi e cruenti: che cosa sai di cosa sta accadendo lì? Riesci a sentire i tuoi cari?

“Sento quotidianamente la mia famiglia e i miei cari. All’inizio era difficile sentirsi, provavo a chiamare ogni volta, ma al decimo tentativo magari riuscivo a fare solo venti secondi di conversazione. La situazione è migliorata oggi e posso parlare con loro in modo più tranquillo. La mia famiglia però continua a sentire i rumori dei missili e delle armi. La battaglia si sta svolgendo ora anche a Mykolaiv. La Russia non fa più nemmeno passare le macchine umanitarie ucraine dentro alla città.”

Tu hai giocato fino a pochi anni fa allo Shakhtar Donetsk, squadra che ha vissuto conseguenze pesanti per il conflitto nel Donbass: che cosa ricordi di quegli anni?

“Sin dall’infanzia sognavo di giocare alla Donetsk Arena. Poi, quando mi sono trasferito lì è successo quello che è successo e grazie alla dirigenza siamo riusciti a essere trasferiti a Kiev, dove ci sentivamo bene. Ma noi sognavamo e speravamo un giorno di tornare a Donetsk: so che è una città splendida, mi sono sempre trovato bene lì sin da quando mi sono trasferito a 12 anni. Una città perfetta, con uno stadio bellissimo. Il conflitto del 2014 ha sicuramente influenzato la situazione di oggi. Per come la vedo io, questa guerra è stata programmata. Ma non sono esperto in politica e voglio limitarmi a dire questo.”

Secondo te, l’Italia potrebbe fare qualcosa di più per il tuo Paese?

“Posso solo ringraziare l’Italia e il popolo italiano, anche per quello che vedo anche qui a La Spezia. Vedo che le persone portano medicine, conosco una ragazza che fa beneficenza e sono stato al suo magazzino dove la gente porta il materiale: ho visto con i miei occhi quello che sta portando il popolo italiano per gli ucraini, c’è tanta roba davvero. Ne sono molto contento. Ci sono coinvolte anche le imprese italiane, c’è una grande solidarietà. Se l’Italia può fare ancora qualcosa per l’Ucraina saremmo solo grati per questo.”

Qual è il ricordo più bello che hai di Kherson?

“Kherson è la mia città natale, dove ho trascorso l’infanzia. ricordo lo stadio vicino a casa mia e quando uscivo a giocare a calcio. Altri preferivano altre cose, come andare alle giostre nel parco. Ricordo bene la mia scuola, amo la mia città e spero di tornarci presto.”

Che senso ha tutto questo? Che risposta sei riuscito a darti?

“Come sia possibile tutto questo, io me lo chiedo ogni giorno. Perché ci hanno attaccato? Cosa vogliono da noi? Siamo un Paese che vuole andare avanti, non sappiamo perché ci abbiano attaccato. Noi speriamo di vincere in questa guerra, ci hanno accusati di essere fascisti, ma non è vero. Non so cosa vogliano davvero.”