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#WeStandWithUkraine – Kuliak, Karjakin, Agapitov e gli altri: le storie di chi approva l’invasione russa

Sin dai primi giorni dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, il mondo dello sport ha provato a dare subito delle risposte sempre più intense, anche sul piano mediatico, prima per criticare la guerra e poi per isolare quanto più possibile la Russia (e la sua principale alleata, la Bielorussia) sul piano diplomatico. Gesti di solidarietà sono arrivati da ogni stadio, palazzetto o campo di gioco, tante società si sono mosse per accogliere i rifugiati in fuga dall’Ucraina, molti uomini di sport hanno cercato di far valere il notevole peso della propria voce per aumentare la pressione pubblica sui piani di guerra della Russia di Putin. Quello di potersi esprimere liberamente è un privilegio di cui dimentichiamo troppo spesso la preziosità, una fortuna che tante persone, a non così tanti chilometri da casa nostra, non hanno: lo dimostrano le manifestazioni in piazza nelle città russe, che inesorabilmente si concludono con arresti sommari; così come il silenzio obbligato che donne, uomini e giovani, anche tra gli sportivi, sono costretti a mantenere.

Meno note alla nostra stampa, però, sono state le storie di chi si è schierato apertamente a favore dell’invasione russa. Testimonianze sicuramente inquietanti, ma potenzialmente indicative del clima politico in cui Putin sta muovendo: sono utili, in un certo senso, per liberarci della nostra visione eccessivamente occidentalista e a volte fin troppo fiduciosa sull’opinione pubblica estera, a partire da chi prova a riconoscere a tutti i costi i segnali di una crescente opposizione interna in Russia fino a coloro che parlano di un possibile regime change, con la caduta (e magari anche eliminazione) di Putin. Le analisi su quanto potrà accadere in questa drammatica guerra sul piano politico e militare, però, possiamo lasciarle a chi si occupa di questi argomenti per studio e lavoro, per chi parla dopo essere stato anche sul campo.

Dobbiamo però prendere atto di un aspetto fondamentale: non tutti sono schierati contro la guerra, e soprattutto contro le ragioni che la muovono nel profondo; non tutti sono contro Putin. Non lo è sicuramente Ivan Kuliak, il ginnasta salito alla ribalta in queste ultime settimane per essersi presentato sul podio dei Mondiali di Doha con disegnata sulla maglietta la “Z” vista sui veicoli militari e l’artiglieria russa durante l’invasione in Ucraina. Un gesto ritenuto sin da subito fuori luogo dalla Federazione Internazionale di Ginnastica, che entro fine marzo potrebbe sancire una possibile squalifica di un anno verso l’atleta classe 2002. Nessun pentimento o passo indietro da parte di Kuliak, nonostante i tentativi di ricondurre il significato di quel simbolo alla “vittoria e alla pace”. Anzi, da parte della coordinatrice della Federazione Russa di Ginnastica, Valentina Rodionenko, sono arrivate lamentele di un’ingiustizia subita:

“È stato proposto di squalificare me come capo della delegazione, l’allenatore Kalabushkin e l’atleta stesso per un anno. La Federazione Internazionale ha preso questa decisione sotto pressione degli ucraini, alcuni di loro hanno addirittura chiesto una squalifica a vita. Gli avvocati stanno lavorando con noi. Gli atleti ucraini a Doha hanno violato tutte le regole della competizione, sono andati in piattaforma con la bandiera nazionale, si sono rifiutati di partecipare alle cerimonie di premiazione se le nostre ragazze avessero preso parte. Non ho mai subito una simile umiliazione nella mia lunga carriera, nemmeno dopo il nostro boicottaggio dei Giochi Olimpici negli Stati Uniti del 1984. In Qatar, non hanno umiliato noi, ma il nostro Paese, Kuliak ha risposto che non ha potuto farci niente.” 

La stessa lettera “Z” è stata riprodotta sul campo da diverse società di bandy (una variante dell’hockey particolarmente diffusa in Russia, Svezia e Finlandia) quali lo Ska Neftyanik, la Dinamo Mosca, il Vodnik e il Kuzbas, a sostegno dell’invasione russa. Una presa di posizione chiara e netta, soprattutto sul piano della propaganda, anche se resta difficile capire il confine tra reale convinzione e gesti semi obbligati dall’alto: in un Paese come la Russia, da anni non certo famoso per la libertà d’espressione, l’interpretazione resta sempre complessa.


Ad essere già stato squalificato per la sua posizione apertamente favorevole all’invasione, invece, è il gran maestro di scacchi Sergey Karjakin, escluso da ogni competizione per sei mesi dalla Federazione Internazionale Scacchi: “Sergey Karjakin è stato ritenuto colpevole di aver violato l’articolo 2.210 del codice etico della FIDE. Le dichiarazioni di Karjakin sul conflitto militare in corso in Ucraina hanno portato a un numero considerevole di reazioni sui social media e non solo, per gran parte contrari alle opinioni espresse”. Dichiarazioni che il 32enne, il primo ad aver vinto il titolo mondiale sotto i 13 anni e in passato il più giovane “grande maestro della storia”, ha espresso in più occasioni soprattutto su Twitter (una datata il 14 marzo diceva: “Oggi, 14 marzo 2022, l’esercito ucraino ha bombardato il centro stesso della città di Donetsk. 25 persone sono morte, circa 19 persone sono rimaste ferite. Zelensky è l’assassino dei bambini del Donbass!”).


Quella di Karjakin, d’altro canto, è una storia che riflette pienamente le implicazioni politiche di questo ultimo decennio di scontri tra Ucraina e Russia: nato a Sinferopoli, in Crimea, ha rappresentato gli ucraini, con cui ha vinto anche un oro alle Olimpiadi 2004, fino al 2009, quando un decreto presidenziale di Dmitry Medvedev gli conferì la cittadinanza russa, anticipando di fatto di qualche anno l’annessione della sua terra natia alla Russia. Il suo supporto per Putin è sempre stato noto, tanto da aver ricevuto nel 2017 la nomina a membro della Camera Civica di Russia. E in questi giorni, il sostegno è diventato ancora più forte, portando la Federazione Internazionale Scacchi a intervenire.

Il suo profilo Twitter è ormai un mix di ringraziamenti della solidarietà ricevuta, propaganda filorussa, accuse all’Ucraina per gli attacchi effettuati e inviti a entrare nel suo canale Telegram da 5mila iscritti. E l’ultimo messaggio inviato è un’accusa alla FIDE: “Un’attesa, ma non meno vergognosa decisione della FIDE. Tutte le selezioni sportive sono state calpestate, il principio base che lo sport deve stare fuori dalla politica è stato calpestato. Ma cosa più importante, io sono prima di tutto un patriota del mio Paese e solo in secondo luogo sono un atleta. Se guardassi indietro a quando ho supportato il presidente della Russia, il popolo e l’esercito, rifarei tutto! Non mi pento di niente”. È andata meglio a un altro gran maestro russo, Sergei Shipov, anche lui schieratosi in favore dell’invasione russa ma, secondo la Federazione Internazionale, in maniera “leggermente differente e meno provocatoria di quanto fatto da Karjakin”. Insomma, niente squalifica per ora.

Starebbe diventando sempre più difficile anche la posizione del russo Maxim Agapitov, membro del Board Esecutivo della Federazione Internazionale  di Sollevamento Pesi, che a sua volta si è schierato apertamente in favore dell’invasione, come accusato dalla Federazione Ucraina. Accuse che si sono basate in queste ore su due brevi video pubblicati dal dirigente sui propri canali social: uno sul discorso pronunciato da Putin al Luzhniki Stadium, l’altro di promozione di un evento a Sochi in apertura di un “centro d’innovazione” sportivo e accompagnato dal commento “un’altra manifestazione della nostra ‘aggressione’ è lo sviluppo della scienza nello sport”. Ma Agapitov aveva già commentato le reazioni del mondo dello sport verso l’invasione russa definendole decisioni “assolutamente discriminatorie riguardo la partecipazione degli stati nelle competizioni internazionali, prese sotto la pressione del Comitato Olimpico Internazionale. Lo sport deve rimanere fuori dalla politica, ogni discriminazione è inaccettabile”.

Ma proprio il citato evento di Putin allo stadio di Mosca, il Luzhniki, ha visto la partecipazione di diverse figure del mondo dello sport, quasi tutte ritratte sul palco con il simbolo “Z” disegnato sui propri indumenti: c’erano le ginnaste Dina e Arina Averina, i pattinatori di figura Nikita Katsalapov, Victoria Sinitsina, Evgenia Tarasova e Vladimir Morozov (tutti vincitori, tra l’altro, di medaglie alle Olimpiadi di Pechino), il nuotatore Evgeny Rylov, la ginnasta Viktoria Listunova, l’ex pattinatrice su ghiaccio Adelina Sotnikova (oro alle Olimpiadi 2014), il fondista fresco vincitore di tre ori alle Olimpiadi invernali Alexander Bolshunov, l’ex ginnasta Svetlana Khorkina (che sui propri social aveva anche pubblicato una foto della “Z” con le parole “una campagna per coloro che non si vergognano di essere russi. Diffondiamo”), alcune fonti riportano la presenza anche di Kuliak. Tutti tra i massimi esponenti della storia recente dello sport russo, saliti sul palco per rinforzare la posizione pubblica di Putin. Quanto volontariamente o meno, resta il grande dubbio che, come un velo, si pone sulla complessa situazione politica in Russia, rendendo impossibile distinguere tra mera propaganda e reale convinzione delle mosse operate finora dalla presidenza russa.