La morte a 77 anni di Jürgen Grabowski rappresenta una grave perdita per l’Eintracht Francoforte, che vede scomparire il giocatore più acclamato della sua storia. Un dolore per tutto il calcio tedesco, che lo ha visto protagonista dell’epoca d’oro nei primi anni Settanta. Era malato da tempo.
Jürgen Grabowski nasce a Wiesbaden (Germania) il 7 luglio 1944. Comincia a conoscere il calcio a certi livelli nel Biebrich, di fatto a due passi da casa. Quando ha 21 anni da compiere viene messo sotto contratto dall’Eintracht Francoforte, che in questo giocatore intelligente di attitudine offensiva vede un potenziale campione: i fatti daranno ragione al sodalizio rossonero. Il debutto in Bundesliga è datato 1965 e la sua ascesa è rapidissima. Il playmaker elegante dai lunghi capelli biondi debutta infatti in Nazionale già nel maggio seguente, contro l’Irlanda, giusto in tempo per essere chiamato per la Rimet in Inghilterra.
Conta relativamente che Grabowski non trovi spazio, nemmeno per un minuto, nella rassegna in cui la Germania Ovest si spinge fino all’ultimo atto: si è ormai inserito stabilmente tra i migliori calciatori tedeschi della sua generazione. Nel ’70 è uno dei protagonisti de “La partita del secolo” contro l’Italia nella semifinale all’Azteca, durante cui serve a Schnellinger il pallone del pari che porta ai supplementari.
Nel 1972 si laurea campione d’Europa con la Nationalmannschaft di Beckenbauer e compagni, bissando il trionfo due anni più tardi con il titolo mondiale in casa. Grabowski non ha un utilizzo continuo durante la Coppa, tuttavia riesce a disputare la finalissima contro l’Olanda – nel giorno del suo 30° compleanno – che rappresenta l’apice della sua vita calcistica. Accanto a lui un altro fuoriclasse dell’Eintracht, Bernd Hölzenbein. La finale di Monaco è l’ultima delle sue 44 presenze (5 reti) in Nazionale.
Nel frattempo, in campionato accumula piazzamenti con l’Eintracht, restando lontano dall’élite della Bundesliga. La classe non è acqua, come si dice in questi casi. E Jürgen la manifesta stagione dopo stagione, rientrando spesso e volentieri nella Top 11 della nota rivista specializzata Kicker: a fine carriera, ne avrà fatto parte per ben 8 volte!
Dopo il successo iridato aveva deciso infatti di dedicarsi esclusivamente al suo club, sebbene le ottime prestazioni con i rossoneri (da capitano e uomo simbolo) avessero suggerito al selezionatore Schön di fargli cambiare idea in occasione di Argentina ’78: per quello che sarebbe stato il 4° Mondiale, Grabowski disse no. Nel frattempo si è fatto pure crescere i baffi e ha vinto due Coppe di Germania di fila. Durante la stagione 1979-80 è il condottiero dell’Eintracht che si fa strada in Coppa UEFA, nonostante l’età non più giovanissima.
Purtroppo, la parabola agonistica di Jürgen Grabowski incrocia un giovane collega destinato a diventare leggenda: Lothar Matthäus. Il quale, con un tackle piuttosto energico, lo infortuna gravemente a un piede costringendolo al ritiro. Non può quindi scendere in campo come giocatore nel trionfo europeo della squadra di Francoforte, ma lo fa in borghese accanto ai compagni che gli tributano un doveroso omaggio. Il campione di Wiesbaden lascia dopo oltre 500 gare ufficiali con l’Eintracht, di cui era perfino stato allenatore ad interim per qualche giorno nel 1977.
Appesi i fatidici scarpini al chiodo, Grabowski inizia a gestire un’agenzia assicurativa e ritorna brevemente all’amore rossonero nella stagione 1983-84, quando affianca Mank in panchina. Negli ultimi anni dovette ricorrere periodicamente alla dialisi: la scomparsa è sopraggiunta il 10 marzo nella sua Wiesbaden. Aveva 77 anni. L’Eintracht Francoforte, mai tradito da Jürgen nonostante le lusinghe del Bayern Monaco e degli olandesi del Feijenoord, gli ha riservato un ricordo speciale. Come meritava uno dei suoi figli prediletti.