Un personaggio incredibile, quasi quanto la sua avventurosa storia legata al pallone. Ferenc Plattkó, ungherese di nascita ma cittadino del mondo, ha avuto un percorso raramente eguagliabile per aver toccato quasi ogni angolo del pianeta.
Nato a Budapest (Ungheria) il 2 dicembre 1898, Ferenc Plattkó iniziò a giocare a calcio come portiere nel Vasas, conquistando in breve la maglia della Nazionale che avrebbe indossato in sei occasioni, tra cui quella contro l’Italia a Genova nel 1923. Trasferitosi in Austria al Wiener, passò poi in Serbia nell’Hajduk Kula, sodalizio oggi non più esistente. Con il trasferimento all’MTK Hungaria, di nuovo in patria, si presentò all’appuntamento con il destino. Giocò due amichevoli contro il Barcellona sotto il Natale del 1922 e si disimpegnò talmente bene da impressionare la dirigenza blaugrana. Fu l’inizio della leggenda.
A Barcellona esordì contro gli inglesi del Bishop Auckland a fine maggio 1923 e sostituì nientemeno che Ricardo Zamora, un inarrivabile mito tra i pali. Fino al 1930 vinse dieci trofei, tra cui il campionato 1929 e tre Copa del Rey. La sua figura statuaria e imponente lo fece ribattezzare “Oso Rubio”, l’orso biondo. La finale della Copa contro la Real Sociedad, nel 1928, lo aveva visto disputare una gara eroica nonostante il ferimento alla testa in uno scontro di gioco: bastò al poeta Rafael Alberti per scrivere in suo onore il poema Oda a Platko. Francisco, così chiamato per rendere spagnolo il suo nome, divenne a sua volta leggenda difendendo la rete del Barça.
Le successive tappe – da portiere globetrotter – lo portarono in Romania al Ripensia Timisoara, a una parentesi elvetica nel Basilea (come allenatore in seconda) di nuovo in Spagna all’Huelva e in Francia al Mulhouse da player manager. Appesi i guanti al chiodo, proseguì la nuova carriera proprio nel campionato francese (Roubaix) prima di cominciare un incredibile giro del mondo che sarebbe durato altri trent’anni. La lista dei Paesi che lo hanno visto allenare è lunga: Spagna, Portogallo, Stati Uniti, Romania, Cile, Argentina, Polonia, più Brasile come osservatore.
Nel suo palmares un campionato rumeno con il Venus Bucarest (1937), tre cileni con il Colo Colo in altrettanti decenni (1939, 1941 e 1953) e un titolo di campione catalano con il Barcellona a metà anni Trenta. Tre è pure il numero di parentesi come selezionatore della Nazionale cilena (tra il 1942 e il 1953), guidata due volte nella Copa América nel decennio seguente. Proprio nel Paese sudamericano è stato considerato un vero e proprio innovatore, avendo portato il WM come sistema di gioco dove argentini e uruguaiani si erano mostrati riluttanti ai cambiamenti tattici.
Tutto era nato dal suo breve passaggio all’Arsenal nel 1936, in cui aveva appreso i dettami del celebre Herbert Chapman. Ma Plattkó si fece valere ancor di più in Cile, come uomo di campo a tutto tondo, disimpegnandosi come massaggiatore, preparatore atletico, nutrizionista, esperto delle calzature da gioco e perfino medico, mettendo in pratica tutte quelle nozioni assorbite in una vita nel calcio. Il globetrotter magiaro è scomparso a Santiago del Cile nel 1983, dopo anni vissuti con il sostegno di una piccola pensione e minati da salute malferma. Aveva raccomandato all’amata moglie Olga di inviare tutti i suoi cimeli blaugrana, quando sarebbe stato il momento, al Barcellona. Che personaggio, Ferenc Plattkó. Oggi riposa nel mausoleo all’interno del cimitero de Los Viejos Craks del Colo Colo, nella Capitale cilena.