I Pionieri del Calcio – Julius Hirsch, il nazionale tedesco vittima dell’Olocausto
Quando lesse su un giornale che i club della Germania meridionale avrebbero bandito tutti i loro membri ebrei, Julius Hirsch prese una decisione difficile, quella di lasciare il suo amato Karlsruher FV, a cui aveva dedicato trent’anni della sua vita. Era entrato in quella società quando aveva appena dieci anni, per lui era come una famiglia, ma sentiva dentro di sé che era il momento di andare.
Era il 10 aprile del 1933 e il regime nazista aveva aperto da pochi giorni il primo campo di concentramento, a Dachau, destinato inizialmente a prigionieri politici e oppositori. Inoltre erano stati effettuati i primi atti di boicottaggio della attività ebraiche e di esclusione degli ebrei dalla vita sociale. Il folle piano del Nazismo, stava per essere portato a compimento.
La carriera da calciatore
Hirsch era stato un calciatore di successo, nel 1910 aveva contribuito alla vittoria del campionato da parte del Karlsruher FV. Le buone prestazioni gli avevano dischiuso, a soli diciotto anni, le porte della Nazionale: insieme a Gottfried Fuchs era l’unico ebreo a vestire quella maglia. Con la Germania giocò numerose partite, comprese le Olimpiadi del 1912 a Stoccolma. In quella occasione si distinse in particolar modo contro l’Olanda segnando ben quattro reti.
“Juller” (questo era il suo soprannome) era un attaccante dinamico, dotato di un gran tiro. I racconti dell’epoca parlavano di un sinistro particolarmente potente che non lasciava scampo ai portieri avversari. Nel 1913 cambiò squadra, passando al Spielvereinigung Greuther Fürth, con cui nel 1914 riuscì a bissare la vittoria del campionato del 1910.
La Prima Guerra Mondiale e il ritorno al calcio
Hirsch non era stato solo un calciatore. Era un vero e proprio eroe di guerra, decorato con la Croce di ferro per il suo impegno nella Prima Guerra Mondiale. Aveva provato sulla sua pelle il dolore della morte, visto che suo fratello Leopold era stato ucciso in azione nel 1916. Una volta terminato il conflitto, era tornato a vestire la maglia del Karlsruher dal 1919 al 1925.
Il conflitto lo aveva cambiato, probabilmente appesantito e disilluso, ma il calcio era rimasto nei suoi pensieri. E così, anche quando decise di appendere gli scarpini al chiodo, rimase comunque nel giro, diventando allenatore delle giovanili del suo Karlsruher.
La deportazione e la morte
Dopo aver abbandonato l’incarico di allenatore, anticipando di fatto quello che sarebbe senz’altro avvenuto a causa dell’inasprimento delle condizioni degli ebrei, Hirsch inviò una lettera al suo club. Si raccomandava di non dimenticare che molti ebrei erano dei patrioti che avevano dato la loro vita per la nazione. Il suo appello cadde nel vuoto. Nel ’42 prese l’estrema decisione di divorziare con la moglie al fine di proteggere lei e i figli, a cui nel frattempo era stato proibito di andare a scuola.
Ma il 1 marzo 1943 Hirsch venne prelevato da casa sua e confinato nel campo di concentramento di Auschwitz. Inizialmente sottovalutò la questione: essendo un ex componente della Nazionale tedesca e un eroe del primo conflitto mondiale, pensò che sarebbero stati indulgenti con lui. Si sbagliava di grosso. Dei suoi ultimi giorni sappiamo poco, l’esatta data della sua morte è sconosciuta: nel 1950 un tribunale tedesco fissò questo giorno nell’8 maggio 1945, mesi dopo la Liberazione di Auschwitz da parte dell’Armata Rossa.
Dal 2005 la Federcalcio tedesca assegna il premio Julius Hirsch a chi si è distinto come esempio di tolleranza e integrazione all’interno del calcio tedesco.