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Serra, l’uomo oltre l’arbitro

Alla fine di Milan-Spezia, Marco Serra si è diretto negli spogliatoi e dai racconti arrivati in queste ore, era talmente sotto shock da essere scoppiato in lacrime. L’errore che ha portato all’ingiusto annullamento del gol di Messias per la mancata applicazione della regola del vantaggio sul fallo di Bastoni su Rebic è grave, pesante per il risultato e le sorti del campionato. E il fischietto di Torino, come capita spesso a tanti arbitri di ogni categoria, lo ha capito subito. In campo sono arrivate subito le scuse del direttore di gara (ma non dell’Associazione Italiana Arbitri, come in un primo momento era stato riportato), circondato dai giocatori di casa in un misto di timide proteste e incredulità.

Il Milan, alla fine, ne ha preso atto: la rabbia e la frustrazione, in poco tempo, hanno lasciato spazio alla comprensione, addirittura al tentativo di rincuorare Serra. Il gesto di Ibrahimovic e compagni verso il fischietto 39enne è stato umano, perché umano è stato il confronto che si è creato da subito: l’arbitro ha chiesto scusa e, alla fine, ci si rende conto che resta pur sempre una partita di calcio, nonostante tutti i grandi interessi economici che girano dietro. Tutto sommato, si è rimasti quasi sorpresi dalla reazione dei rossoneri: non è la normalità in un Paese che ogni week-end presenta casi di aggressioni e violenze contro i direttori di gara di tutte le età e di qualsiasi categoria.

Quello di Serra non è un errore tecnico, come qualcuno ha scritto poco dopo l’accaduto, e quindi non sussistono i presupposti che porterebbero alla ripetizione della partita; è un classico errore di valutazione, legato potenzialmente a tanti fattori che solo chi ha arbitrato una volta nella vita sa quanto incisivi possano essere in determinati momenti di una gara. Si parla già di lungo stop, addirittura di una carriera compromessa, ma queste conseguenze le conosce già chi arbitra. Lo si capisce la sera stessa e si porta dietro i pensieri per i giorni e le settimane successivi, a volte anche mesi. Le prime pagine dei giornali non sono gli spazi adatti per gli arbitri, perché di solito sono segnali di brutte notizie: i direttori di gara vogliono sembrare quasi trasparenti, perché la vera valutazione che conta è quella di osservatori, organi tecnici e, al massimo, colleghi.

L’errore capita e la bellezza di un momento così difficile è rimasta legata alla veloce presa di coscienza di tutte le parti. Un arbitro sa che l’errore è sempre dietro l’angolo ed è per questo che si lavora duro, allenandosi e studiando, per evitarlo in ogni modo possibile. Ma sa anche che, per una questione meramente statistica, prima o poi sbaglierà, perché si adottano decisioni importanti nella frazione di un secondo. Gli attaccanti si divorano gol facili, i difensori o i portieri lasciano buchi imperdonabili, i direttori di gara sbagliano questa o quella decisione. Se all’errore, poi, si aggiunge anche il fattore sfortuna, il rischio che il danno diventi grosso si alza ancora di più. E, allora, tocca imparare a gestire lo sbaglio, quando non puoi fare altro che prendere coscienza di quanto fatto. Quando questa consapevolezza arriva direttamente in campo, con tutti i riflettori puntati addosso, crollare moralmente e fisicamente è inevitabile.

Serra ha avuto però il merito di sapersi salvare da una situazione così complessa per lui. Le scuse immediate hanno stemperato gli animi, ridotto le polemiche e, in maniera abbastanza inusuale, portato le analisi anche sulla prestazione scialba del Milan: sono osservazioni, quest’ultime, che di solito scompaiono completamente dal dibattito pubblico quando a influenzare la gara è stata anche la decisione di un arbitro. Serra ha avuto un lusso che, in altri contesti, non ci si può purtroppo permettere, perché il pessimo stato di salute del calcio italiano è a tutti noto. Ma resta il merito di aver fatto vedere che, dietro l’arbitro, c’è l’uomo, con la sua fallibilità, i sensi di colpa, l’umiltà di accettare l’errore. Questo non lo salverà dal tritacarne di media e social. Ma la verità è che chi riesce a guardare lo sport con un minimo di razionalità spera di rivederlo presto in campo, perché per una volta mettersi nei panni di un direttore di gara non è stato così impensabile.