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Amnesty International afferma che il caso Djoković mostra “le vergognose politiche australiane sui rifugiati”

Leonard Zhukovsky / Shutterstock.com

È il caso del momento e non c’è testata in tutto il mondo che, ogni giorno, non stia seguendo con attenzione lo svilupparsi delle vicende attorno a Novak Djoković. Una storia con tante, troppe parti rimaste oscure, con informazioni parziali e spesso lacunose, che fa emergere a livello mediatico mondiale un dibattito che, sulle bacheche dei social, ormai ci accompagna da mesi sui vaccini e il rispetto non solo delle regole scritte, ma anche del senso di responsabilità verso gli altri.

Il caso, però, ha voluto che per pochi giorni la storia del tennista serbo si incrociasse con quella di centinaia di rifugiati, tutti uniti sotto lo stesso tetto: quello del Park Hotel di Melbourne che da anni ospita al suo interno immigrati provenienti dalle zone più pericolose del mondo. Un vero e proprio centro di detenzione in cui il rispetto dei diritti umani non sembra essere affatto in cima agli interessi delle autorità australiane, come confermato dagli articoli di denuncia emersi improvvisamente in questi giorni: cure mediche assenti, cibo avariato, torture, trattamenti inumani, permanenze provvisorie che si trasformano in una prigionia a tempo indeterminato. Anche così, la storia di Medhi Ali, 24enne che si ritrova chiuso in una stanza da quando ha 15 anni, è improvvisamente diventata di fama internazionale.

Il consulente di Amnesty International Australia sui diritti dei rifugiati, Graham Thom, ha sottolineato che proprio questa attenzione mediatica ha fatto emergere, una volta di più, le violente e vergognose politiche del governo australiano in materia di immigrazione:

“Djokovic ha avuto un piccolo assaggio di quello che i rifugiati vivono da anni a causa delle vergognose politiche del governo australiano. Se qualcosa di positivo è derivato da questa vicenda è aver acceso i riflettori su una situazione disperata, che viola il diritto internazionale e che produce sofferenza e la morte di persone il cui unico ‘reato’ è quello di aver cercato riparo sulle coste dell’Australia”.

“Che si trovino in Australia nei cosiddetti ‘centri alternativi di detenzione’ oppure sull’isola di Nauru, le persone intrappolate a tempo indefinito in questo sistema brutale stanno soffrendo: non possono lavorare, mandare i loro figli a scuola, praticare i loro sport preferiti, accedere alle cure mediche, immaginare il loro futuro. L’esperienza della detenzione ha prodotto traumi e malattie”.

“Si tratta di persone fuggite da alcuni dei luoghi più pericolosi del mondo. Hanno diritto alla libertà, alla sicurezza e a un futuro migliore. Hanno bisogno del nostro aiuto. Non possiamo più restare a guardare mentre i politici girano le spalle alla loro sofferenza. Esistono altre opzioni. Amnesty International è riuscita a far accogliere alcune di queste persone in Svizzera e in Canada e ha contribuito ad altri reinsediamenti negli Usa. La Nuova Zelanda, negli ultimi cinque anni, ha messo a disposizione 150 posti all’anno per i rifugiati. Chiediamo al primo ministro Scott Morrison di porre fine a questo sistema iniquo, accettare l’offerta della Nuova Zelanda e consentire finalmente a queste persone di ricostruire le loro vite”.