Serie A 21/22, pillole e spunti dalla 12a giornata
Spunti dalla Serie A per riflessioni da gustarsi nel tempo di un caffè. La redazione di MondoSportivo si riunisce, in unico pezzo, per ripensare alla giornata di campionato appena conclusa e riflettere su aspetti rilevanti, curiosi, interessanti delle partite della massima serie italiana.
A Cagliari, di nuovo, si punta il dito sui giocatori. Un refrain rossoblù (di Fabio Ornano)
Come nella scorsa stagione, in cui il presidente Giulini aveva prorogato la fiducia (e il contratto…) a Di Francesco nel momento più brutto puntando il dito sui giocatori, a Cagliari si vive lo stesso ritornello. I sardi sono stati battuti dall’Atalanta, obiettivamente fuori portata anche per un pari, e restano ultimi in classifica. Oggi, sulla stampa isolana è stata riportata la strigliata del presidente alla squadra, ma risalente alla rifinitura di venerdì. Lo sfogo dell’industriale milanese avrebbe riguardato l’insufficiente impegno da parte di alcuni giocatori: soprattutto se viene considerato qualche ingaggio pesante… Intanto la squadra ha collezionato la quarta sconfitta di fila e il confermatissimo Mazzarri, pur conscio dei diversi nazionali che vedrà partire, sa bene che dovrà fare gli straordinari nella sosta per smuovere le leve giuste. Ora, qualsiasi cosa sembra non funzionare.
Lo strano caso del Dr. Weston e di Mr. McKennie (di Michael D’Costa)
Ancora di corto muso; è così che la Juventus di Allegri piega la Fiorentina nel sabato pomeriggio torinese, prendendosi tre punti che definire una boccata di ossigeno forse rappresenta un eufemismo. Dopo la sfortunata sconfitta con il Sassuolo e il brutto inciampo di Verona i bianconeri rialzano la testa. Il fattor comune tra le ultime tre gare di Campionato è, forse, quello che meno ti aspetti: Weston McKennie.
Contro la Fiorentina l’americano (a differenza delle due gare precedenti) non entra nel tabellino dei marcatori, ma sfodera una prestazione di ottima fattura: Cuadrado è l’uomo della provvidenza, ma McKennie è tra i migliori in campo. Corsa, interdizione, inserimenti, oltre ad alcune ottime letture palla al piede. Questi gli ingredienti con i quali McKennie strappa gli applausi di addetti ai lavori e non nella gara con i toscani, in un ruolo nel quale in pochi probabilmente gli davano fiducia: quello al fianco di Locatelli nel recente 4-4-2 allegriano.
Felicemente sorpreso, qualcuno tra i tifosi juventini sul web invoca (sarcasticamente) il ritiro a Vinovo per tutta la stagione per lo statunitense, che effettivamente non sempre è risultato ineccepibile fuori dal campo. Lecito, in casa Juve, chiedersi quale sia il “vero” McKennie: il brillante e volitivo centrocampista delle ultime settimane, o il distratto e confusionario calciatore vistosi tra la fine della stagione scorsa e l’inizio di quella attuale? Allegri una risposta pare essersela data, facendo una scelta di campo ben precisa: a McKennie, ora, il compito di non smentirlo.
Mourinho parla di arbitri, ma i problemi della Roma sono altri (di Alessio Milone)
Siamo sempre là, a parlare di ingiustizie subìte per giustificare l’ennesima prestazione mediocre. La Roma perde a Venezia, incassando ulteriori tre gol: si può mai tollerare un discorso sull’arbitraggio? Ok, non c’era il rigore causato da Cristante. Cambia qualcosa? Mourinho ha grandi colpe: nessuno mette in dubbio le sue qualità, le sue idee. È un eccellente comunicatore, ma questo ormai non basta piu: a Roma c’è bisogno di imporsi. È arrivato tra applausi e cori, sta gestendo benissimo l’ambiente (qualsiasi altro allenatore, con questi risultati, sarebbe già davanti al caminetto a leggere libri e bere scotch), non altrettanto uno spogliatoio che sarà pur fatto – per gran parte – di calciatori che Mourinho non stima, nonostante i 90 milioni e passa spesi in estate sul mercato, ma tant’è: a Roma si dice che bisogna saper pur fare le nozze coi fichi secchi. Dopotutto, per vincere con solo fenomeni in campo, non ci sarebbe bisogno di uno Special One in panchina. No?
Lazio-Salernitana, una partita storica. Sperando resti un “unicum” (di Giuseppe Pucciarelli)
7 novembre 2021, ore 18. Una data e un orario destinati a rimanere incastonati nel libro della Serie A. Per la prima volta, il massimo campionato italiano ha ospitato una partita tra una squadra di un proprietario e un’altra che è governata da un istituto giuridico di natura anglosassone, il trust, con uno dei due disponenti del bene che è il proprietario dell’altra squadra. Sì, questa è stata Lazio-Salernitana, con Claudio Lotito patron dei biancocelesti e disponente (con Marco Mezzaroma) del trust che sta guidando la Salernitana alla cessione entro il 31 dicembre, pena l’esclusione del campionato. Una situazione che ha suscitato facili e comprensibili ironie da parte della maggior parte degli appassionati di calcio italiani. Una situazione che come responsabile ha solo ed esclusivamente la FIGC che, coerentemente alla decisione di vietare scambi di mercato tra i due sodalizi, avrebbe dovuto impedire la disputa dello “scontro diretto” fino a cessione avvenuta. La partita non ha avuto storia sul campo, con la Lazio che ha vinto nettamente 3-0. Ma non ha avuto storia neanche sugli spalti, con i 6000 sostenitori della Salernitana che hanno letteralmente surclassato il tifo locale e che hanno dedicato a Lotito inequivocabili cori di legittima contestazione. Salerno e la Salernitana meritano rispetto. E meritano una cessione trasparente a una nuova proprietà che faccia piazza pulita di tutte le scorie “lotitiane” (in primis, il direttore sportivo Angelo Mariano Fabiani, costruttore di una squadra oscena per la Serie A). La FIGC vigili e si ricordi che esiste la norma “anti-Manenti”. Teste di noce, mogano o palissandro si astengano. O vera cessione o cancellazione e ripartenza dalla D. Salerno sarebbe pronta a ripartire anche dal basso. Perché la dignità non ha categoria.
Di Lorenzo scala un altro gradino, anche quando il Napoli si ferma (di Francesco Moria)
I pareggi ottenuti contro Roma ed Hellas Verona, per quanto rispettabili e più che comprensibili, hanno mostrato i punti su cui il Napoli potrebbe più faticare quest’anno, anche considerando la stanchezza che rischierà di accumularsi andando avanti tra campionato e coppe. Ma più che sul gruppo, dalla serata del “Maradona” non si può non riflettere per una volta su un singolo che, se possibile, questa stagione sta riuscendo a salire un altro gradino in termini di qualità: Giovanni Di Lorenzo. Contro il Verona è arrivato il primo, meritato gol stagionale, ma il terzino azzurro sta mostrando una completezza unica per il suo ruolo: un giocatore sempre sicuro delle sue giocate, che ha ottimo passo, garantisce assist e qualità offensiva, ma non si dimentica, come fanno altri terzini, che in primis è un difensore. È un giocatore concreto e anche contro il Verona ha proposto quasi sempre giocate intelligenti, senza disdegnare una certa eleganza. Il Di Lorenzo di quest’anno, insomma, sembra giocare a un livello maggiore ed è a oggi uno dei più completi terzini destri d’Europa. Un ruolo in cui è già faticoso trovare giocatori di buon livello, figuriamoci veri e propri campioni, anche per la mentalità, come Di Lorenzo.
Milan-Inter, un derby che speravamo non finisse mai (di Roberto Tortora)
È stato un super Derby della Madonnina. Ha rispecchiato le ambizioni dei club ed è stato finalmente un duello d’alta classifica autentico. L’Inter ha dimostrato di avere qualità e profondità di rosa, il Milan fisico e determinazione. Ognuna delle due squadre ha espresso il meglio quando ha potuto giocare ai propri ritmi. I nerazzurri potevamo vincerla con numerose occasioni a referto, tra cui quelle di Lautaro, Barella e Vidal. I rossoneri potevano vincerla alla fine con il palo di Saelemaekers. Alla fine ne è uscito un pari equo. Benissimo Tatarusanu, che si è preso la Curva Sud parando un rigore proprio lì davanti. Benissimo Tonali, ormai leader della squadra di Pioli. Nell’Inter benissimo Barella, moto perpetuo, e benissimo Darmian, spina nel fianco del povero Ballo-Tourè. Incommentabile Calhanoglu, brutto gesto dopo il gol nei confronti dei suoi ex tifosi che lo hanno sempre sostenuto anche quando non ha reso nella sua militanza milanista. A godere potrebbe essere… il Napoli, che non perde il primato nonostante il pari con il Verona. Dopo la sosta, Fiorentina-Milan e Inter-Napoli, incroci pericolosi e pericolosamente belli.
Sheva alla (ri)conquista dell’Italia (di Florind Xhaferri)
L’approdo di Andriy Shevchenko sulla panchina del Genoa è una chiara mossa di avvicinamento al calcio italiano, così ben conosciuto dall’ex goleador del Milan. In questo modo, magari dopo una buona stagione in Liguria, potrebbe farsi conoscere ancora di più dalle squadre migliori della Serie A.
È poco probabile che in rossoblù l’allenatore ucraino possa costruire un progetto continuativo. La quasi ex società di Enrico Preziosi non ha mai dimostrato lungimiranza con cambi repentini al comando, ripetuti ritorni di fiamma di Ballardini, appena esonerato per l’ennesima volta, e rose create grazie a calciatori prelevati in prestito. Nel breve periodo, soprattutto in una piazza così calda, il fondo 777 Partners potrebbe non dare così tante garanzie perché Shevchenko rimanga a lungo in squadra.
Tuttavia l’ex CT dell’Ucraina ha raggiunto buoni risultati con la nazionale, richiamando l’attenzione di club comunque di primo livello come il Genoa, per quanto da anni relegato nelle ultime posizioni del campionato italiano. In questa nuova avventura Sheva può accrescere ancora di più la sua fama, guadagnando la salvezza in questa stagione. In estate poi si valuteranno risultati ed eventuali offerte. Offerte (e soprattutto garanzie) anche dello stesso Genoa che potrebbe perfino sorprenderci a livello dirigenziale, seppur questo scenario sia quasi fantascientifico.