Un mese fa, su queste pagine, avevamo espresso i nostri dubbi riguardo alla situazione femminile in Afghanistan dopo l’avvemto del regime dei talebani e in particolare modo del calcio femminile, attraverso le parole di Nadia Nadim, stella della nazionale danese ma di origine afghana: “È straziante. Dopo vent’anni che tentiamo di uscire da tutto quello schifo che è successo, ora siamo punto a capo. È sconvolgente”.
Tra le tantissime restrizioni applicate dal nuovo regime dei talebani c’è il completo divieto per le donne di lavorare fuori di casa, il che vale anche per insegnanti, ingegneri e la maggior parte dei professionisti, e il divieto specifico per le donne di praticare sport o di entrare in un centro sportivo o in un club. A questo punto le giocatrici avevano organizzato la fuga dal regime e tentato inizialmente di raggiungere il Qatar, dove si trovano al momento altri rifugiati afghani, ma erano rimaste bloccate in Afghanistan dopo l’attentato del 26 agosto all’aeroporto internazionale di Kabul.
Una prima parte della nazionale femminile dell’Afghanistan era riuscita a partire l’ultima settimana di agosto dopo un accordo con il governo australiano, ma la squadra giovanile aveva avuto un problema con i passaporti e le giovani calciatrici non erano riuscita a lasciare il Paese, dovendosi successivamente nascondere per sfuggire ai Talebani. A quel punto la ONG britannica
Football for Peace, in collaborazione con il governo e la Federazione calcistica pakistana, si è organizzata
per portare in Pakistan le restanti calciatrici insieme alle loro famiglie e il governo di Islamabad ha concesso visti per motivi umanitari, con il ministro federale pakistano per l’informazione, Fawad Chaudhry, che ha precisato che
“le giocatrici erano in possesso di passaporti afghani validi”. Ora le
Lions of Afghanistan sono al sicuro dopo un esodo che è valso loro probabilmente la vita ma non ci è dato sapere quale sarà la fine delle tante sportive o aspiranti tali che sono in questo momento ancora nel paese asiatico e che devono fare i conti con
un regime patriarcale, fortemente conservatore e ostile verso l’apertura al riconoscimento di nuovi diritti e libertà verso le donne, come testimonia il video diffuso in queste ore
su Twitter dall’account Panjshir_Province dove si vede una donna urlare impotente mentre i talebani la frustano senza pietà.
FIFPRO e POPAL hanno lavorato con le autorità di sei paesi (tra cui Australia, Stati Uniti e Regno Unito), per far uscire le atlete e le loro famiglie dal paese ma il segretario generale della Fifpro Jonas Baer-Hoffmann ha descritto l’evacuazione come “un processo incredibilmente complesso”. Baer-Hoffmann ha anche aggiunto di essere vicino a tutte le altre donne che sono rimaste confinate nella nazionale afghana contro il loro volere.
È stato fatto un primo passo verso la salvezza del calcio femminile afghano, ma viene da chiedersi se dobbiamo davvero assistere inermi e vedere scene come quelle testimoniate da Panjshir_Province invece di cominciare ad agire fattivamente, a livello di diplomazia internazionale, per esempio salvando oggi tutte le ragazze in Afghanistan che hanno partecipato in massa alla campagna virale #DoNotTouchMyClothes indossando gli sgargianti vestiti della tradizione afghana in contrapposizione al burqa. E sottolineo oggi perchè tra un mese potrebbe essere già troppo tardi.