La prima, storica fase a gironi della Conference League prenderà avvio stasera, ma la politica internazionale e i rapporti diplomatici sono subito i veri protagonisti di uno dei match che si giocherà negli anticipi: Maccabi Haifa-Feyenoord. La notizia più sorprendente è arrivata ieri da un comunicato pubblicato proprio del club olandese: l’esterno iraniano Alireza Jahanbakhsh non è stato convocato per “evitare che il giocatore non possa più partecipare alle gare della propria Nazionale in futuro, come conseguenza per aver giocato contro atleti israeliani”. Un’esclusione che, dunque, riguarderà l’ex Brighton stasera, ma ovviamente anche nella gara di ritorno che si giocherà a Rotterdam il prossimo dicembre.
Le pressioni del governo iraniano sui propri atleti affinché non partecipino a competizioni contro israeliani, non riconoscendone lo Stato di appartenenza, non sono affatto una novità e già se ne era parlato durante le Olimpiadi, nel raccontare la storia del judoka Saeid Mollaei: costretto dai rappresentanti iraniani a ritirarsi ai campionati mondiali di Tokyo del 2019 per evitare di affrontare l’israeliano Sagi Muki in finale, l’atleta di Teheran si è ritrovato a dover chiedere asilo politico in Mongolia, con cui ha partecipato ai Giochi Olimpici di quest’estate ottenendo la medaglia d’argento nella categoria di judo 81 kg.
In realtà, non esiste a oggi una legge scritta che vieti formalmente agli atleti iraniani di scontrarsi con i colleghi israeliani. L’argomento, tra l’altro, era stato oggetto di un aspro dibattuto la scorsa estate, quando il Comitato per la Sicurezza Nazionale e gli Affari Esteri aveva presentato al Parlamento iraniano una clausola apposita per vietare le gare contro atleti israeliani “per rispondere alle azioni del regime Sionista, che mette in pericolo la pace e la sicurezza”. L’aula, alla fine, ha deciso di opporsi alla proposta, votando contro: “un suicidio per lo sport iraniano”, lo aveva definitio Mehdi Jafari Gorzini, politico rifugiato in Germania dal 1980.
Nonostante l’assenza di una norma formale, è comunque evidente che continua a essere pienamente attiva una consuetudine, una legge non scritta che impone agli atleti di rinunciare a questo tipo di competizioni. E, in passato, anche nel calcio si è assistito a episodi piuttosto preoccupanti in questo senso.
Nel 2017, per esempio, gli iraniani Ehsan Hajsafi e Masou Shojaei furono di fatto costretti dal loro club di appartenenza, i greci del Panionios, a giocare contro il Maccabi Tel Aviv nel ritorno dei preliminari di Europa League, dopo aver ricevuto una multa per essersi rifiutati di giocare la gara di andata. Una posizione estremamente scomoda per i due che, scesi in campo contro gli israeliani, ricevettero in cambio dal governo iraniano una squalifica a vita dalla Nazionale, annunciata dal Ministro dello Sport Mohammad Reza Davarzani. Solo l’intervento della FIFA, a minacciare l’Iran di esclusione dai Mondiali dell’anno dopo, permise ai due di tornare a giocare con i propri connazionali, superando l’imposizione del governo: Hajsafi manderà addirittura una lettera di scuse, mentre Shojaei verrà richiamato solo a marzo 2018 nonostante il suo noto attivismo politico nel contrastare pubblicamente la corruzione nel calcio iraniano e chiedere di eliminare il divieto di accesso agli stadi per le donne.
Jahanbakhsh ha così deciso di chiedere al proprio allenatore Arne Slot di escluderlo dalla lista dei convocati: una scelta, almeno secondo il comunicato ufficiale del Feyenoord, dettata dal timore di future ripercussioni a livello di Nazionale, sebbene qualcuno sostenga che sia stato il giocatore stesso a essersi rifiutato di giocare in polemica per le politiche adottate dal governo isreaeliano, soprattutto verso i palestinesi. Di sicuro, l’ex Brighton non scenderà in campo né stasera, né a dicembre. Una scelta politica, diametralmente opposta a quella fatta dal judoka Mollaei che, pur di essere nuovamente padrone del proprio destino e della libertà da costrizioni politiche e diplomatiche, arrivò alla difficile decisione di lasciare il proprio Paese di nascita, fino a diventare addirittura amico di quel collega israeliano che il governo dell’Iran gli aveva proibito di sfidare qualche anno prima.