Il pentathlon moderno è lo sport di Pierre de Coubertin. Il barone francese lo ideò per le Olimpiadi ispirato dalla tradizione antica dei Giochi, combinando tra loro le cinque discipline (scherma, equitazione, nuoto, tiro e corsa) che più si avvicinavano alle attitudini di un cavaliere. Così dal 2012 è sempre stato presente nel programma olimpico nonostante qualche rischio recente di esclusione. Daniele Masala e Carlo Massullo gli atleti più emblematici per l’Italia, con loro nell’edizione del 1984 arrivarono addirittura due ori per la squadra azzurra tra prova individuale e staffetta.
Alle ultime Olimpiadi invece la nostra rappresentativa si è presentata al via con Elena Micheli, argento iridato nel 2019, e Alice Sotero. Quest’ultima è stata tra le protagoniste. L’atleta astigiana infatti si è ben comportata nella prova di nuoto arrivando alla vigilia della laser run con buone possibilità di podio. La sua è stata una lunga rincorsa all’ultimo gradino del podio mentre davanti la britannica Kate French volava verso l’oro; gli errori al tiro purtroppo l’hanno bloccata a un passo dall’impresa e così si è dovuta accontentare del quarto posto. Un piazzamento comunque da elogiare in una gara dura ed estenuante, dove le atlete devono combattere con la fatica, i tempi di recupero e anche la sorte come accaduto nell’equitazione. “Forse un quinto posto sarebbe stato meglio per il morale” – ha dichiarato sorridendo la Sotero, intervistata da Mondosportivo per raccontare la sua avventura olimpica nella capitale giapponese.
Il quarto posto di Tokyo migliora senza dubbio il precedente risultato di Rio dove aveva concluso in settima posizione. L’obiettivo che si era imposta alla vigilia è stato raggiunto, però resta la consapevolezza di aver sfiorato una medaglia olimpica.
Ovviamente un po’ di rammarico rimane. Spesso i pensieri vanno a quello che sarebbe potuto accadere se ci fossero stati uno o due colpi in meno piuttosto che una stoccata in più nella scherma. Comunque non posso dire di essere andata male, in generale mi ritengo molto soddisfatta della mia prestazione, ho fatto una gara brillante e un quarto posto dopo due edizioni olimpiche è una cosa del tutto eccezionale.
Durante la laser run conclusiva quanto ha inciso la pressione e il fatto che stava lottando per il podio?
Non ho mai guardato la classifica, in quel momento pensavo che arrivasse molta più gente da dietro, molte più combinatiste forti oltre alla lituana. Non mi sono preoccupata sulla posizione, ero più concentrata su quello che volevo fare. Purtroppo nell’ultimo mese il tiro mi aveva creato qualche problema in allenamento e me lo sono portato in gara: se parti quarta alla fine è difficile fare miracoli.
A maggio ha ottenuto l’attesa qualificazione olimpica, un premio per tutti gli sforzi fatti in questi anni. Durante il percorso di avvicinamento ai Giochi però ha temuto per una eventuale cancellazione della rassegna olimpica?
Ho sempre cercato di pensare che si sarebbero tenute perché era un modo di tener testa durante allenamenti. Se inizi a pensare a un possibile rinvio, poi molli di testa e non sarebbe stato proficuo. Quindi non mi è mai balenata l’idea che non si potessero fare. Ho temuto invece per la qualificazione. A Sofia siamo stati mandati a casa perché avevamo un positivo in squadra. C’era sempre il timore di risultare positivo a un tampone e che questo finisse per pregiudicarti la gara. Per fortuna invece è filato tutto liscio.
Il pentathlon moderno è uno sport poco conosciuto in Italia, la sua maggior visibilità arriva proprio in occasione dei Giochi. Cosa l’ha spinta verso questa disciplina?
Fino a 16 anni praticavo il nuoto però era diventato uno sport un po’ monotono, i risultati non arrivavano e stavo per smettere. Nella mia società facevano anche pentathlon e il mio allenatore mi ha convinto a provare. Effettivamente qui ho trovato una disciplina più varia dove c’era modo di fare diversi allenamenti al giorno in differenti attività: è dinamico e molto più consono alla mia personalità, inoltre sono sempre stata abituata a fare altri sport oltre al nuoto.
Tokyo 2020 un’edizione particolare, senza pubblico e senza quell’atmosfera di festa che si vive durante tutto il periodo olimpico in città. Come ha vissuto questa esperienza?
Il villaggio olimpico l’ho vissuto abbastanza bene. A parte l’uso delle mascherine e della mensa dove i posti erano divisi in modo da non creare contatti stretti, non mi sembrava una situazione diversa da quello che si sta vivendo nel mondo. Rispetto a Rio invece ho notato la grande differenza delle tribune. Sono entrata in sala scherma ed era vuota e ti sentivi come se fosse una delle nostre gare normali, perché noi di norma non abbiamo tanto pubblico; questa situazione mi ha tranquillizzata e un po’ rasserenata. L’assenza del pubblico l’ho sentita particolarmente a fine gara, in quel momento hai bisogno di avere le persone a te vicine e purtroppo mancavano perché non è potuto venire nessuno a Tokyo.
Non vedeva l’ora di tornare in Italia?
Esatto. Già il volo era lungo, dodici ore sono sembrate un’eternità per tornare a casa dalle persone che volevo rivedere.
Il pentathlon è anche uno sport in continua evoluzione. Dal 2012 si è scelto di unire corsa e tiro in un’unica prova e ora ci si prepara a un nuovo format a Parigi 2024 molto più rapido e intenso con le gare condensate nell’arco di 90 minuti. Cosa ne pensa a riguardo?
Il cambiamento è tutto da studiare, non si possono ancora fare pronostici e non so ancora se sarò lo stesso tipo di pentatleta. I tempi di recupero tra le varie discipline sono molto più brevi, diventa una cosa diversa sia fisicamente che mentalmente. Devo capire come riuscirò ad affrontarla e poi lavorare sulle mie carenze, però mi incuriosisce provare qualcosa di nuovo.
A Tokyo si è parlato molto del caso Annika Schleu, l’atleta tedesca accusata di maltrattamento verso gli animali insieme alla sua allenatrice. Qualcuno ha criticato la scelta di far gareggiare gli atleti con un cavallo che si conosce solo venti minuti prima della prova. C’è chi vorrebbe farli gareggiare con cavalli personali, ma questa ipotesi va contro la natura di questo sport. Nel frattempo si pensa di abbassare l’altezza degli ostacoli e di accorciare il percorso in futuro.
Penso che sia molto difficile portare un proprio cavallo a una gara, diventerebbe troppo dispendioso. Già così è molto costoso ed economicamente è difficile che un ragazzo riesca a fare tutte e cinque le discipline senza essere supportato da una società. Forse si potrebbe avere più tempo a disposizione per conoscere il cavallo da montare o valutare se fare una prova il giorno prima, però sarebbe un po’ come stravolgere questo sport. Il percorso affrontato a Tokyo era diverso e complicato rispetto a quello che facciamo di solito, gli ostacoli erano alti e noi non eravamo pronte. Sicuramente ci sono delle modifiche da fare e l’Unione Internazionale deciderà poi quali.