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Pallone Noir – La vedova Beatrice e il muro di gomma

La storia del calcio non è fatta tutta di campioni e gol, imprese sportive e trofei da alzare. Ma pure le pagine oscure sono sempre esistite, forse le si ricorda meno volentieri. Con la rubrica Pallone Noir cerchiamo di rimuovere un po’ di polvere da questi racconti: una galleria in chiaroscuro, dove l’alternarsi di luci e ombre rappresenta simbolicamente l’eterno conflitto tra bene e male.

Titolo: La vedova Beatrice e il muro di gomma.

Paese di produzione: Italia.

Ambientazione storica: 1976-2009.

Protagonisti: Bruno Beatrice, Gabriella Bernardini, Carlo Mazzone.

Trama. Bruno Beatrice, nato a Milano nel 1948, era stato un buon centrocampista uscito dal vivaio dell’Inter. Dopo i passaggi alla Solbiatese e all’Arezzo, l’esordio in Serie A con la Ternana nel 1972-73. Da lì l’immediato trasferimento alla Fiorentina, i cui colori difese per tre campionati con una Coppa Italia vinta. Nel ’76 deve interrompere l’attività per qualche mese a causa di una pubalgia che non gli dà tregua: il club viola lo fa curare in una clinica fiorentina a base di sedute di radioterapia. La famiglia avrebbe dichiarato in seguito che in quel periodo Bruno aveva iniziato a soffrire di insonnia, tremori e spasmi muscolari. Riprese a giocare nel Cesena, poi con Taranto, Siena e Montevarchi, fino al ritiro nel 1984. L’anno seguente si ammalò di leucemia linfoblastica acuta: morì ad Arezzo il 16 dicembre 1987, ad appena 39 anni. Lasciò la vedova Gabriella, i figli Claudia e Alessandro. 

A giugno 2008, l’indagine dei NAS di Firenze ipotizzò il reato di omicidio preterintenzionale, accusando l’allenatore dell’epoca Carlo Mazzone. Nel settembre dello stesso anno, nell’animo di Gabriella Bernardini riemersero sensazioni laceranti per la tragedia di Stefano Borgonovo. L’ex attaccante di Fiorentina, Milan e Nazionale era diventato strenuo paladino della lotta contro la SLA, tanto da non aver più paura di mostrare la sua condizione al pubblico e sensibilizzarlo nei confronti della ricerca scientifica. La vedova di Bruno Beatrice aveva rilasciato un’intervista a L’Unità in quei giorni. 

Ho visto quel ragazzo e sua moglie, il mio cuore è con loro. Ho provato tanto dolore, e mi sono messa nei panni della moglie. Mi sono rivista, quando ero accanto al mio Bruno. Ma ho anche pensato che avrebbero fatto meglio a raccontare prima il loro dramma. Perché di fronte a tragedie del genere si ha diritto di chiedere aiuto, e perché la gente deve sapere. Parlando si possono salvare altre vite“.

Gabriella si concentra sulla questione doping, accostata alla morte del marito, avvenuta nel 1987 per leucemia. “Del doping si parla solo quando ci sono vicende come queste, e comunque dopo non succede nulla. Troppi interessi, troppe pressioni. In questo calcio che è diventato solo business, la salute dei calciatori non conta. E loro, per l’ansia di arrivare o perché ingenui, assumono veleni di ogni tipo. D’altronde, dire di no è difficile per questi ragazzi“.

Una condizione in cui si trovò anche il marito. “Guardi, erano altri tempi, in cui non si sapeva nulla del doping. Io so solo che alla Fiorentina lo sottoposero per tre mesi a radiazioni, ogni giorno. Volevano curargli la pubalgia, ma in quel modo hanno favorito la leucemia che lo ha ucciso. Di questo sono convinta, anche sulla base di perizie mediche. Durante quegli anni gli davano flebo quasi tutti i giorni. Per finirle ci metteva molto, stava al telefono con me mentre le prendeva. Cosa ci fosse dentro non lo so. Quando tornava a casa dopo le partite però non riusciva a chiudere occhio. Era elettrico, le gambe e il corpo tremavano. Per due notti non dormiva, al martedì cominciava a riprendere sonno. Una notte voleva portarmi a Milano dai suoi, pieno d’energia com’era“.

Una forma terribile di leucemia, che se l’è portato via in due anni. Io mi informai, e capii che c’era un rapporto diretto con quelle radiazioni. Chiamai l’avvocato Sergio Campana. Gli dissi: ‘Il calcio ha ucciso Bruno‘. Lui mi rispose invitandomi a pesare le parole, e aggiunse: ‘Se va avanti, si troverà davanti un muro di gomma‘. Per questo lancio un appello a tutte le mogli di calciatori malati affinché parlino. Dobbiamo sconfiggere questa consegna del silenzio che c’è nel calcio“.

Mi sono serviti dieci anni per trovare un avvocato. Nessuno voleva prendersi questa patata bollente, avevano tutti paura. Il legale giusto l’ho trovato solo nel 2005. È stato lui a far riaprire l’inchiesta, archiviata dopo il primo esposto. Io non ho ricevuto pressioni per desistere, ma un giornalista, che voleva scrivere un libro su mio marito, ne ha ricevute parecchie. E ha lasciato perdere. L’ambiente del calcio è così. Se hai problemi ti abbandona, e vuole che tu non dia fastidio. Quando Bruno si è ammalato sono rimasta sola, evitata come la peste“.

Ricordate l’accusa formulata nei confronti dell’allenatore Carlo Mazzone (omicidio preterintenzionale) per la morte di Bruno Beatrice? Nel gennaio 2009 la procura di Firenze richiese l’archiviazione del caso per prescrizione: il “muro di gomma” era dunque rimasto immacolato. Tre anni fa, il figlio Alessandro scrisse una toccante lettera a La Gazzetta dello Sport nel 31° anniversario della scomparsa del padre: “Il mio amato babbo non c’è più per colpa di pseudo esseri umani corrotti dal diavolo della fama e dal diavolo del denaro“.