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Il riscatto con la Mongolia di Saeid Mollaei, il judoka che disse “no” all’Iran

È l’agosto 2019 e il judoka iraniano Saeid Mollaei si presenta ai campionati mondiali di Tokyo come campione in carica, con l’obiettivo di confermarsi sul tetto del mondo dopo il successo a Baku del 2018. Sin dalle prime fasi del torneo, l’atleta di Teheran si dimostra subito come uno dei principali candidati alla vittoria finale, superando senza troppe difficoltà gli avversari iniziali e proiettandosi già verso una possibile finale. Ma, in poco tempo, un fatto che sembra inizialmente soltanto una lontana ipotesi comincia a trasformarsi in realtà: l’altro judoka ritenuto alla vigilia come papabile vincitore, Sagi Muki, sta rispettando a sua volta i pronostici, avanzando turno dopo turno. Muki, però, è israeliano e un possibile incontro con lui andrebbe contro i divieti imposti dalle autorità iraniane, che non riconoscono Israele in quanto Stato. Sembra prefigurarsi, insomma, una scena per certi versi simile a quella vista in queste Olimpiadi con altri due judoka, l’algerino Fethi Nourine e il sudanese Mohamed Abdalrasool, entrambi ritiratesi volontariamente in nome della causa palestinese davanti al rischio di affrontare l’israeliano Butbul.

Mollaei, però, a differenza di quanto faranno i due, non sembra affatto intenzionato a ritirarsi, anche quando diventa di fatto certa una sfida contro Muki proprio in finale. Ed è sin dagli ottavi di finale, nel delicato incontro con il campione olimpico Khalmurzaev, che le autorità iraniane intervengono, soprattutto sotto la pressione del vice ministro dello sport e il presidente del Comitato Olimpico Reza Salehi Amiri: prima con telefonate minacciose all’allenatore da parte di uno dei massimi dirigenti sportivi del Paese; poi, davanti alle resistenze di Mollaei nel voler continuare tanto da arrivare in semifinale, facendo intervenire una delegazione dell’ambasciata iraniana in Giappone e minacciando con nuove telefonate, ancora più gravi, in cui veniva comunicato l’arrivo di uomini della sicurezza iraniana nella casa dei genitori. È a quel punto che l’atleta cede, come mostrano alcune drammatiche scene (futuro materiale per le inchieste portate avanti) con Mollaei in lacrime nell’area riscaldamento: in semifinale perde, probabilmente di proposito, contro il belga Mathias Casse ed evita così l’incontro così delicato sul piano diplomatico con l’israeliano che, come da previsione, vince il mondiale rubando lo scettro proprio al judoka iraniano.

Il rifiuto di obbedire inizialmente agli ordini costa però caro al judoka di Teheran, costretto a fuggire dall’Iran per trovare prima rifugio in Germania e poi in Mongolia, dove ha chiesto e ottenuto asilo politico e passaporto. Nel mezzo, però, la vicenda ha avuto strascichi dopo le indagini della International Judo Federation e la punizione per gli iraniani è stata durissima: squalifica fino al settembre 2023 dalle gare internazionali di judo. Un atteggiamento ritenuto gravemente antisportivo, “una ripetuta e grave violazione delle regole della Federazione Internazionale di Judo”, come riconosciuto anche dai giudici della Corte d’appello. Un’esclusione destinata a rimanere in vigore “fino a quando la Federazione judo iraniana non darà forti garanzie e dimostrerà di rispettare lo Statuto IJF, accettando che i suoi atleti combattano contro gli atleti israeliani”.

Mollaei, intanto, dopo una breve parentesi da atleta riconosciuto nella Federazione dei Rifugiati, ha indossato i colori della Federazione della Mongolia e il suo passato è rimasto una cicatrice per cui ogni giorno sembra combattere per ricucirla. Il coraggio del judoka lo ha portato a superare le barriere imposte dalla Federazione iraniana, provando a utilizzare lo sport proprio per abbattere muri e creare nuovi legami di pace. È anche con queste intenzioni che l’atleta classe ’92 si è presentato al Grande Slam di Tel Aviv dello scorso febbraio, accolto in un clima di grande festa ed entusiasmo, un momento definito addirittura “storico”. “La sua presenza qui è la semplice dimostrazione di come lo sport possa unire le persone e rompere i confini. È un grande messaggio per il mondo”, dirà proprio Muki, trasformato in poco tempo da potenziale nemico anche sul piano politico a rivale rispettato sul tatami e amico nella vita: una storia di fratellanza e amicizia così bella da essere destinata a diventare oggetto di una futura serie tv, come annunciato già da diversi media.

Nel frattempo, però, Mollaei si è conquistato la qualificazione alle Olimpiadi ed è tornato a Tokyo, quasi due anni dopo, chiudendo simbolicamente il cerchio sempre in quel tempio del judo che è il Nippon Budokan. Anzi, stavolta partecipa da uomo libero da costrizioni politiche e diplomatiche, come tanto avrebbe voluto nel 2019. Le autorità iraniane, intanto, gli avrebbero dato il via libera al ritorno in patria senza alcun problema, ma il judoka non si fida e teme ancora per la vita propria e quella dei suoi familiari, in parte ancora sotto sorveglianza nel Paese.

I risultati di questa nuova condizione di vita si sono già visti: nella categoria di judo 81 kg, l’ex atleta iraniano si è conquistato la medaglia d’argento, cedendo soltanto al giapponese Nagase in finale. Avrebbe potuto incrociare simbolicamente persino Muki in semifinale, ma l’israeliano è stato eliminato ai quarti di finali. Questo podio oggi Mollaei se lo tiene stretto: non sancisce soltanto il ritorno ai massimi livelli di uno dei judoka più forti al mondo, ma gli regala soprattutto la libertà di poter essere nuovamente padrone del proprio destino di uomo e atleta. E questo vale anche molto di più di un secondo posto alle Olimpiadi.