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L’Arabia Saudita ha provato a spiare il presidente del PSG Al-Khelaïfi con il software Pegasus

Con il passare delle ore, la lista delle personalità finite nella rete del software israeliano Pegasus per essere spiate continua ad allungarsi sempre di più. In ogni parte del mondo, protagonisti della politica nazionale e internazionale, dirigenti aziendali, reporter e attivisti dei diritti umani stanno scoprendo di essere in mezzo ai circa 50mila numeri di telefono raccolti dallo spyware sviluppato dal Nso Group, gettando così allarme a livello mondiale e riaprendo in maniera preoccupante il tema della cybersicurezza. I nomi illustri svelati dall’inchiesta “The Pegasus Project” portata avanti dai giornalisti del Washington Post e di altre 15 testate (sotto il consorzio no profit Forbidden Stories), insieme ad Amnesty International, sono tanti: Macron, Prodi, Ramaphosa (presidente del Sudafrica), Obrador (presidente del Messico), Salih (presidente dell’Iraq), l’ex premier del Belgio Michel, i primi ministri di Pakistan, Egitto e Marocco, fino al re di quest’ultimo, Muhammad IV e al direttore generale dell’OMS Ghebreyesus.

Un’enorme rete di contatti finita nelle mani dei pirati informatici, con il programma che sarebbe stato utilizzato anche dai governi di Ungheria, Messico (ritenuto il principale cliente di NSO nella selezione dei numeri di telefono), Marocco, Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti, Azerbaigian, India e Ruanda per introdursi illegalmente nei dispositivi di migliaia di rappresentanti politici e personaggi della società civile in paesi rivali sul piano politico. Insomma, uno spyware nato per penetrare le reti di terroristi e criminali si è trasformato in uno strumento profondamente invasivo in favore di governi autoritari per controllare la vita professionale e privata di persone di tutto il mondo: infettando telefoni iPhone e Android, il sistema è in grado di estrarre messaggi, foto, email e di attivare segretamente il microfono o la telecamera del dispositivo. Un’arma straordinaria per controllare a distanza i propri obiettivi politici, senza che nessuno (a partire da Israele, che permette all’azienda di fare affari con regimi autoritari per scopi ambigui) ponga un freno alle azioni di spionaggio.

Non ci sono dubbi sul fatto che, tra i Paesi utilizzatori del sistema, risulti anche l’Arabia Saudita. Assieme agli Emirati Arabi Uniti, il governo di Mohammed bin Salman è stato autore di ripetuti tentativi di controllo a distanza di politici e attivisti ritenuti “scomodi” dal regime. Tra i tanti nomi emerge anche quello di Hatice Cengiz, la fidanzata del giornalista Jamal Khashoggi assassinato nell’ambasciata dell’Arabia Saudita in Turchia nel 2018: l’intelligence saudita sarebbe riuscita a installare agevolmente Pegasus sul telefono della donna, mettendola di fatto sotto sorveglianza appena quattro giorni la drammatica vicenda.

Ma, secondo quanto emerge dall’inchiesta, l’Arabia Saudita avrebbe messo nel mirino anche un personaggio politico come Nasser Al-Khelaïfi, potente presidente del Paris Saint-Germain e del gruppo televisivo BeINLe Monde rivela infatti che, alla fine del 2018, ossia nel pieno della guerra diplomatica e commerciale tra sauditi, Emirati Arabi Uniti e Qatar, “degli agenti stranieri avrebbero utilizzato Pegasus per colpire due numeri di telefono del patron del PSG e un numero di telefono ritenuto di appartenenza del direttore della comunicazione del club francese, Jean-Martial Ribes”.

Non è chiaro se il telefono di Al-Khelaïfi sia stato effettivamente infettato dallo spyware, ma restano pochi dubbi sulle ragioni di questo tentativo di attacco a distanza. Tra Qatar e Arabia Saudita è in corso da anni una corsa per i diritti televisivi, con i qatarioti che hanno ripetutamente accusato il governo saudita di sostenere la rete pirata BeoutQ, che diffondeva programmi sportivi di beIN Sports senza autorizzazione. Una storia confermata in più occasioni e ritenuta, tra l’altro, anche alla base del mancato acquisto da parte del Fondo d’Investimento Saudita, controllato indirettamente dal capo del governo de facto Mohammed bin Salman, del Newcastle United soltanto un anno fa.

Una guerra che vede sullo sfondo un giro d’affari enorme, soprattutto se si considera la crescita esponenziale di BeIN in questi anni nel tentativo di monopolizzare i diritti televisivi delle trasmissioni sportive in Medio Oriente, Africa e Asia: con la Premier League c’è un accordo già da tempo, mentre di recente è arrivata anche una pesante intesa con l’UEFA per rendere visibili le competizioni europee nel Sud-Est asiatico, in Medio Oriente e nel Nord Africa, rinforzando sempre di più la viva, ma quantomeno ambigua, alleanza tra Al-Khelaïfi e Ceferin. Poco dopo la denuncia al WTO delle operazioni illegali di BeoutQ, l’Arabia Saudita avrebbe dunque risposto cercando di controllare strettamente i dirigenti della piattaforma televisiva e finendo per spiare, con ogni probabilità, anche il presidente qatariota. Il cui telefono sarebbe stato poi messo utilizzato anche da un altro cliente della NSO, ossia gli Emirati Arabi Uniti, stretti alleati proprio dei sauditi. Anche da questo episodio, emerge come il caso Pegasus abbia fatto emergere intreccio strettissimo tra cybersicurezza, politica internazionale e guerre commerciali, confermando la nuova dimensione raggiunta di una parte delle contese tra Stati. Pronti a tutto per sfruttare tecnologie estremamente avanzate per controllare, anche a grande distanza, a bassi costi e pochi rischi, i propri avversari politici.